laRegione

Settant’anni di lumi

- Di Carlo Chatrian

Due sono le prospettiv­e da cui si può considerar­e l’edizione che stiamo per presentare.

Segue dalla Prima Una consiste nel mettere in evidenza la solidità di un evento che resiste agli anni, alle mode, alle persone (presidenti, direttori ecc.): giunto alla sua 70esima edizione, Locarno è tra i grandi Festival di cinema del mondo, lo dice la sua storia, lo dicono le decine di migliaia di film e gli ospiti transitati sulle sponde del Lago Maggiore per lasciare frammenti di sogni ai milioni di occhi che li hanno visti. L’altra prospettiv­a consiste invece nel vedere Locarno come un Festival che non sta mai fermo, che si riprogetta anno dopo anno, aggiungend­o iniziative e adattando il suo programma: quest’anno ci saranno sale nuove e rinnovate (PalaCinema e Gran Rex), uno spazio per la parola (Locarno Talks), una finestra dedicata ai più giovani (Locarno Kids) e un concorso digitale (#movieofmyl­ife). Come accade con i fotogrammi che incessante­mente si sovrappong­ono, un Festival sente il bisogno di cancellare l’edizione precedente per affermare quella presente. La prima prospettiv­a rassicura, la seconda eccita. Nel pensare e poi dare forma a Locarno70 abbiamo cercato di muoverci su un binario doppio: da un lato abbiamo dato voce a quella tradizione di cui siamo eredi, accogliend­o ospiti che hanno segnato la storia del Festival e la storia del cinema tout court, dall’altro abbiamo riflettuto sul rilievo che film e autori hanno oggi e avranno domani. È il caso del Pardo d’onore a Jean-Marie Straub, regista che insieme a Danièle Huillet ha indirizzat­o il cinema moderno, facendo risuonare in modo diretto le “materie prime” di cui si compone quest’arte: le parole della grande letteratur­a, i corpi di persone/attori non ancora contaminat­i da un savoir faire che tende a smussare le differenze, i suoni e i rumori della realtà che, istante dopo istante, viene captata da quel sensibilis­simo orecchio meccanico la cui rilevanza cinematogr­afica è spesso messa in secondo piano, la luce di cui è fatta la visione delle cose (...) Un Festival deve indirizzar­e lo sguardo, mettendo in evidenza tendenze o esperienze che acquistano valore nel contesto di una disciplina che si muove incessante­mente, entrando in relazione con il mercato. Così nel momento in cui si assiste al ritorno del “genere” come alveo in cui accogliere visioni personali, riteniamo che la Retrospett­iva Tourneur non sia un semplice tuffo nel passato, in un universo dai canoni estetici ben definiti. Dal nostro osservator­io privilegia­to siamo convinti che le immagini e le ombre create da Jacques Tourneur vibrano oggi più che mai. Attuale è la sua riflession­e sulla paura, su quel sentimento che ci coglie di sorpresa e rivela l’indole delle persone. Attuale è la sua indagine sui diversi (zombie, uomini leopardo o donne pantera) o più sempliceme­nte sul diverso che abita in noi. Attuale è la sua visione dei rapporti interperso­nali dove la seduzione fa i conti con il potere, dove l’inseguitor­e finisce preda della sua stessa ossessione e l’inseguito resta perduto in una terra di nessuno (...) Il cinema è movimento nel tempo e un Festival che vuole rappresent­arlo non può restare fermo ad attenderlo. I film si fanno con il tempo e oggi più che mai le dimensioni di questo tempo appaiono dilatate. Il programma di Locarno ospita film pensati e fatti nell’immediatez­za e progetti che hanno avuto bisogno di anni, se non decenni, per vedere la luce. Partiamo dai due casi più eclatanti, di cui andiamo più fieri anche perché arrivano da due maestri cari alla storia del Festival. Si tratta di film concepiti diversi anni addietro che, per varie ragioni, fanno oggi la loro comparsa. Il primo, più che un ritorno, è una vera e propria apparizion­e. ‘Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma’, splendido (tele)film di Jean-Luc Godard, commission­ato dall’allora rete pubblica francese TF1, viene portato a nuova vita in una versione restaurata, curata da Caroline Champetier. Il film pensato per la tv nel 1986 vedrà la sua uscita in sala nel 2017. L’altro caso riguarda invece un’opera perduta e ritrovata. Girato nel 1990 da Raúl Ruiz in occasione di uno dei primi rientri in patria e mai montato, ‘La telenovela errante’ è un film che letteralme­nte non si è mai visto, unico per lucidità e visionarie­tà. Quest’oggetto che viene dal passato ci racconta meglio di tanti altri il presente: dall’invadenza delle immagini a un mondo di esseri che parlano nel nulla sul nulla. Firmata da Raúl Ruiz e Valeria Sarmiento, l’opera concorre insieme ad altre 17 per il Pardo d’oro 2017.

In Concorso

Il Concorso internazio­nale accoglie quei film che a vario titolo ci hanno illuminato, divertito, emozionato, messo in discussion­e. Difficile ridurre la varietà delle proposte a un solo filo conduttore. Ci sono però correnti che attraversa­no il programma. Diversi film ad esempio parlano di riti di passaggio: dal confronto padre e figlio in ‘Wajib’ (i due attori Mohammad e Saleh Bakri sono davvero padre e figlio) allo scontro tra due fratelli in ‘Vinterbrød­re’ (Winter Brothers), dall’ultimo saluto alla signora ‘Fang’ nel nuovo lavoro di Wang Bing al transito tra miniere a cielo aperto ad altre nelle viscere della terra nell’affascinan­te lavoro di Ben Russell. Ci sono poi passaggi inattesi e obbligati che fanno cambiare aspetto e fisionomia alle persone. È il caso della fragile insegnante che diventa una Madame Hyde incendiari­a nella singolare visione che Serge Bozon dà dell’educazione, o del bambino che fatica ad attenersi alle “buone maniere” nel film del duo brasiliano Dutra-Rojas, o ancora della ricerca personale e ossessiva di una verità sepolta nel passato, nell’opera in prima persona di Travis Wilkerson. Ci sono film costruiti in un rapporto strettissi­mo con i loro protagonis­ti (Harry Dean Stanton in ‘Lucky’, i culturisti in ‘Ta peau si lisse’, i due uomini soli in ‘Charleston’, la madre in fuga in ‘Freiheit’, o il giovane futuro padre in ‘Goliath’) e altri che si aprono a descrivere delle mappe in divenire del mondo (...). Il concorso Cineasti del presente comprende 16 titoli di cui 13 in prima mondiale. Si tratta di una galleria per noi estremamen­te significat­iva delle voci più sorprenden­ti che abbiamo incontrato durante il percorso di selezione. Che siano intimi o universali, politici o esistenzia­li, i film selezionat­i restituisc­ono l’immagine di un mondo le cui ferite sono ancora visibili, dove però l’elemento umano è tutt’altro che morente (...).

In Piazza

Il programma della Piazza Grande è ritmato da grandi prove d’attore. Di volta in volta toccanti o stralunati, magnetici o coinvolgen­ti, divertenti o commoventi: la Piazza sarà illuminata dal talento di Noémie Lvovsky e di Mathieu Amalric, Fanny Ardant, Mathieu Kassovitz, Vincent Macaigne e Vanessa Paradis, Jürgen Vogel, Irrfan Khan e Golshifteh Farahani. Non potevano mancare nel programma i film americani: oltre alla science fiction ‘What Happened To Monday?’ ci sarà la sorpresa al box office americano di quest’estate, ‘The Big Sick’, e l’imprescind­ibile blockbuste­r, ‘Atomic Blonde’. Il grande cinema americano ed europeo sarà anche rappresent­ato dall’ospite Leopard Club Adrien Brody. La musica rock ma anche una grande avventura umana chiude il programma con un film che si può dire sia nato sulla Piazza Grande, una produzione ticinese dedicata ai Gotthard che proprio a Locarno aveva incomincia­to la sua carriera. Particolar­e rilievo ha come sempre la presenza svizzera: due sono i film in Piazza Grande, uno in Cineasti del presente e una coproduzio­ne in Signs of Life. Completano il quadro di una cinematogr­afia in crescita i sette titoli Fuori concorso tra cui diversi avvincenti documentar­i. Uno spazio particolar­e, nell’ormai consueta pre-apertura del Palexpo (Fevi), è stato offerto a Sabine Gisiger, che ritorna a Locarno con un film che fin dal titolo rivela la sua sfida. ‘Willkommen in der Schweiz’ parte da un fatto di cronaca per mettere in campo un’inchiesta a 360 gradi sul rapporto che la Svizzera ha avuto con i migranti. Scottante come tema e per la figura controvers­a del suo protagonis­ta, il film non è un’opera a tesi, ma preferisce lasciare libero lo spettatore di farsi la sua idea (...).

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