Il coraggio delle donne
Incontro con la regista egiziana Laila Soliman, ospite di Territori con la pièce ‘Zig Zig’ L’esperienza della violenza sessuale e la sua denuncia sono argomenti universali che l’autrice racconta attraverso uno spettacolo di teatro documentario
«Parto dalla realtà del mio Paese, ma gli argomenti che tratto, seppur per gradi differenti, sono universali. Per me è importante portare sul palco storie non stereotipate. In diverse performance mi interessa molto il rapporto fra l’individuo e l’autorità; soprattutto dal punto di vista dell’individuo», ha raccontato la regista egiziana Laila Soliman. Abitante del Cairo, è già in Svizzera – «sono andata a Ginevra, Berna, Coira, Zurigo...» –, ma è la sua prima volta in Ticino, ospite della quinta edizione di Territori con uno spettacolo di teatro documentario “Zig Zig”*, che ben tratta e sviluppa la questione femminile, una delle tante prospettive date al tema radice dell’edizione di quest’anno. «“Zig-zig” nello slang anglofono rimanda all’atto sessuale», le prime attestazioni dell’espressione risalgono agli inizi del 1900, in contesti militari, «era il modo dei soldati per chiedere rapporti sessuali alle donne». Abbiamo incontrato Laila nel caldo afoso dell’atrio dell’hotel che la ospita in questi giorni: un velo leggero, fucsia e fiorato annodato alla base della nuca, incornicia occhi scuri e profondi. Con lei abbiamo chiacchierato dello spettacolo che presenterà questo venerdì, del lavoro di regista nel suo Paese, dei temi che attraggono e impegnano il suo interesse...
Perché ha scelto il teatro come forma espressiva? E quando?
Credo sia l’opposto. Il punto di partenza è sempre stato quello che volevo raccontare attraverso il teatro, i temi, le storie. O forse, temi ed espressione artistica camminano di pari passo. Ho deciso di diventare regista di teatro quando avevo 14 anni...
Nell’introduzione allo spettacolo, si legge della sua coraggiosa posizione critica nei confronti della politica egiziana. Come vive il suo lavoro nel suo Paese in quanto donna?
Non credo sia più difficile in quanto donna, non nel teatro. È difficile essere
artisti indipendenti, come in qualunque altra parte del mondo, dove comunque il numero delle registe donne è inferiore rispetto a quello degli uomini. Però mi considero fortunata, perché ora sono riconosciuta anche fuori dai confini del mio Paese e quindi ho molte più possibilità di lavoro.
Il suo punto di vista critico rende pericoloso il suo lavoro?
Ci sono progetti che possono essere più pericolosi di altri. Rifiuto di sottoporre i miei testi alla censura di Stato e per portare gli spettacoli in scena, evitando il controllo, faccio capo a un sistema che è un po’ complesso, ma che mi permette di ridurre i rischi. Non vendo i biglietti,
così non c’è supervisione statale, quello che faccio, in maniera del tutto legale, è organizzare spettacoli privati. Così, le persone si annunciano in anticipo, su una lista degli ospiti.
Quali sono i soggetti più ostici da portare sulla scena egiziana?
Problematici sono i soggetti socio-politici in generale. Nel 2004, quando ho iniziato, il mio primo lavoro era sulla guerra in Iraq, sui suoi effetti... ho indagato poi differenti questioni sociali, come aborto, omosessualità, militanza politica, islamismo, molestie sessuali sulle donne, problemi legati alla pubertà, corruzione politica, violenza della polizia. Nei miei progetti inoltre amalgamo questioni storiche e contemporanee; un’analisi del passato attraverso il presente e viceversa.
Nella pièce ‘Zig Zig’ che cosa hai voluto raccontare?
Molte cose. Alla fonte della drammaturgia ci sono gli atti processuali riguardanti la violenza subita da alcune donne del villaggio di Nazlat al Shobak, da parte di soldati britannici, nel pieno della rivoluzione egiziana contro l’occupazione inglese (marzo 1919). Un racconto che rompe immaginazione e stereotipi rispetto alla visione che si può avere delle donne egiziane non scolarizzate di quell’epoca, che denunciarono la violenza subita. E lo fecero con coraggio. Ma l’atto di denuncia coraggioso, oggigiorno e in tutto il mondo, non è ancora scontato e facile da fare per molte donne. Mi ha interessato anche molto l’impostazione dell’interrogatorio in casi di violenza sessuale. Chi interroga, a volte pone le domande non tanto per conoscere la verità, quanto piuttosto per distruggere la persona; infliggendo alla vittima ulteriore violenza...
Questo carattere traspare anche dai documenti storici su cui si è basata la sua ricerca? [Gli atti del processo sono consultabili negli archivi del Foreign Office inglese]
Certo. Quando si leggono i documenti, si vede come il meccanismo di interrogatorio sia molto drammatico e chiaro, peculiarità che lo rendono inoltre adatto alla scrittura teatrale. Lo spettatore non necessita spiegazioni, poiché è una scena comprensibile dappertutto, perché il meccanismo è sempre lo stesso: cento anni fa e oggi; in Egitto e altrove!
Le donne di allora furono molto coraggiose a denunciare allo Stato egiziano le violenze subite... E oggi?
Si pensa che le donne egiziane oggi non possano denunciare le violenze perché non fa parte della nostra cultura. Ma così come le donne di cento anni fa hanno potuto farlo, anche oggi ci dovrebbe essere la possibilità. Ma attenzione, non si tratta di una pièce sulla storia coloniale egiziana, la mia volontà è stata quella di raccontare l’evento della storia del mio Paese usandolo come punto di partenza per universalizzare un problema sociale contemporaneo e internazionale.
Come mai le fonti storiche sono tratte da archivi britannici?
Questo riguarda il problema delle donne nella storia, di come vengono raccontate nel corso dei fatti, l’immagine che si vuole lasciare nella storiografia principale quindi la strumentalizzazione. Dopo la rivoluzione egiziana del 1919, una volta raggiunta l’indipendenza dello Stato, la storia è stata scritta secondo la volontà politica di un movimento nazionalista. Quindi proviamo a ridare una lettura dei fatti storici al di là del recit canonico, facendo emergere il coraggio di quelle donne.
*“Zig Zig” andrà in scena venerdì 14 luglio, alle 20, sul palco del Teatro Sociale, in arabo e inglese, con sopratitoli inglesi e italiani.