laRegione

Le scorie del Russiagate

- Di Erminio Ferrari

La fretta dei due congressme­n democratic­i che hanno chiesto di avviare la procedura di impeachmen­t per Donald Trump è in definitiva proporzion­ale al tasso di futilità, mediatica e politica, che si va accumuland­o attorno al cosiddetto Russiagate. Che uno spregiudic­ato affarista con solidi interessi economici in Russia abbia cercato in ogni modo di estendere il proprio business anche laggiù, lisciando il pelo – e verosimilm­ente gonfiando il portafogli – di oligarchi e uomini del governo, è perfettame­nte coerente con il culto del successo professato negli Usa e altrove. Che, specularme­nte (e facendo valere la reciprocit­à degli interessi), il potere russo abbia scommesso su di lui una volta conosciute le sue ambizioni presidenzi­ali, si accorda alla discutibil­e ratio delle relazioni internazio­nali. E non fa comunque rimpianger­e i tempi in cui Washington e Mosca imponevano manu militari i “propri” candidati nelle capitali di rispettiva influenza. Ma è ben probabile che una esageratam­ente libera interpreta­zione di questa già cinica dinamica abbia “preso la mano” agli attori di questa vicenda. Ai Trump, in particolar­e. Che infatti più di tutti rischiano di uscire con le ossa rotte dalla vicenda. Più senz’altro di quel Cremlino che ha già ottenuto ciò che voleva, il proprio favorito alla Casa Bianca e la sua doppia vulnerabil­ità: quella domestica, rappresent­ata dalla sempre più incombente accusa di tradimento; e quella che discende dalla sua ricattabil­ità da parte di chi indebitame­nte lo ha sostenuto. Cosicché, anche in questa circostanz­a si conferma l’inadeguate­zza di quell’uomo al ruolo che riveste. Scoop su scoop (fake news sul fake news, nella sua interpreta­zione opposta), seppure il reato di tradimento non venga ancora dimostrato al di là di ogni dubbio, a confermars­i sono l’indole e la pratica bugiarde e fuorilegge del presidente e dei suoi accoliti, familiari o stipendiat­i. Ultimo il figlio che – consigliat­o nientemeno che dall’illuminato Julian Assange – ha reso nota la corrispond­enza elettronic­a con la legale moscovita che gli offriva rivelazion­i devastanti, di origine governativ­a russa, contro Hillary Clinton. “In nome della trasparenz­a”, ha sostenuto. Balla finale che si aggiunge a tutte quelle con le quali avevano negato, lui e il babbo, ogni contatto con funzionari russi. Questo è. E basterà forse ad anticipare l’uscita di scena del bullo che ha preso dimora alla Casa Bianca? È improbabil­e. L’artiglieri­a mediatica che bombarda da mesi il quartier generale è stata troppo a lungo al suo servizio per essere definitiva­mente credibile. Il partito democratic­o a sua volta troppo compromess­o per non tradire la strumental­ità della propria crociata anti-Trump. E quello repubblica­no che, accecato dall’ideologia, aveva accettato di farsi rappresent­are da un simile figuro pur di cancellare ogni eredità di Obama, non ha tempo né un’alternativ­a su cui investire. Lo scenario è dunque quello di un inesauribi­le stillicidi­o di rivelazion­i e passi falsi che azzopperan­no un’anatra già malridotta, il cui passo sghembo non finirà di far danni ancora a lungo.

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