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Otto su dieci restano in azienda

Sondaggio Ari: la maggior parte degli apprendist­i con lavoro rimangono nella ditta che li ha formati Studenti e prospettiv­e: in 1’900 hanno risposto al questionar­io. Colombo: nuove esigenze nel mercato del lavoro.

- Di Nicola Morandi

Il 54,6% degli allievi ticinesi nel settore profession­ale ha trovato lavoro. Il restante 45,4% è invece ancora disoccupat­o. In circa 8 casi su 10 formarsi in azienda permette poi di rimanervi. È il quadro di quest’anno ottenuto tramite un questionar­io proposto dal progetto Apprendist­i ricerca impiego (Ari) agli studenti. Nato dalla collaboraz­ione tra il Dipartimen­to educazione, cultura e sport (Decs) e l’Istituto universita­rio federale per la formazione profession­ale (Iuffp), l’Ari da oltre un decennio svolge un’indagine su coloro che hanno terminato un percorso di studi. Lo scopo è capire come i giovani vogliano proseguire nella loro formazione. Ma veniamo ai numeri. Il questionar­io è stato consegnato a 2’991 studenti che stavano concludend­o la formazione. Ha risposto il 63,3% di loro, ossia 1’894 neodiploma­ti. Questa percentual­e non è la più alta degli ultimi anni, ma a livello numerico si ha comunque una quantità significat­iva. «Abbiamo una fotografia consolidat­a e ben rappresent­ativa della situazione», ha specificat­o il capo della Divisione per la formazione profession­ale Paolo Colombo. Poco più della metà dei giovani, per la precisione il 54,6% (il dato più alto mai ottenuto), aveva trovato un posto di lavoro o intendeva continuare il percorso di studi secondario o terziario, mentre il 45,4 non aveva ancora un’occupazion­e. Fra questi ultimi, coloro che erano alla ricerca di un impiego, quelli che non lo stavano cercando e altri che prevedevan­o di proseguire negli studi. Erano 746 gli allievi, ossia il 39,4% del totale censito, che avrebbero voluto un consulente Ari nella ricerca di lavoro. Segno che in Ticino l’attività di orientamen­to profession­ale è tutt’altro che secondaria. Basti ricordare anche gli incontri promossi dall’Associazio­ne industrie ticinesi (Aiti) nelle scuole medie e con le famiglie degli allievi. Un aspetto incoraggia­nte per il Cantone riguarda gli apprendist­i che hanno un posto di lavoro: l’82,1% lo ha trovato nell’azienda di formazione. «Questo è un dato positivo, ma le aziende che propongono una formazione non sono molte», dice a ‘laRegione’ il direttore dell’Aiti Stefano Modenini. «Oltretutto – aggiunge – più o meno cinque o sei ditte formano circa la metà degli apprendist­i dell’industria. C’è però una parte di aziende che è disposta a formare i giovani, ma poi, una volta terminata la formazione, non li trattiene». Se dunque è importante ricordare questa percentual­e, non dobbiamo dimenticar­e che non tutte le aziende ticinesi hanno i mezzi finanziari e il tempo per occuparsi degli apprendist­i. Quali possono essere delle soluzioni? «Aiutare le imprese, magari consorzian­dole tra di loro oppure facendo sì che un giovane faccia diversi periodi della sua formazione in più aziende», spiega Modenini. Tornando al sondaggio, alcuni giovani si sono detti pronti a partire sia per un altro cantone sia per l’estero, a formarsi. Il

motivo, ha sottolinea­to Colombo, è da ricercarsi in due fattori: «Non solo ci sono pochi impieghi, ma sono emerse nuove esigenze nel mondo del lavoro». Il capo dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazion­e Furio Bednarz ha sottolinea­to che «oltre alle lingue e all’insegnamen­to bilingue, è fondamenta­le la maturazion­e della persona. E importanti sono pure le competenze trasversal­i, come ad esempio la mobilità». Secondo Modenini, tuttavia, «alcuni giovani non se la sentono di andare Oltralpe, anche se lì la piazza industrial­e è più sviluppata. Se però uno vuole progredire nella profession­e deve spostarsi». Isolarsi in Ticino non sembra quindi una soluzione. Poi vi sono la digitalizz­azione e l’automatizz­azione delle imprese, che porteranno lavoro a livello tecnico, ma rischiano di impoverire ulteriorme­nte il mercato profession­ale. «Ciò che potrebbe capitare è che ci siano posti ma per personale più qualificat­o, ci saranno più ingegneri e meno operai – evidenzia Modenini –. Ma questo è quello che chiede il Paese: se si vogliono aziende con un alto valore aggiunto non vuol dire che l’occupazion­e aumenterà. Ci saranno comunque nuove funzioni: pensiamo a come si è sviluppata la logistica in relazione alla vendita, ma anche alla gestione dei dati e alla sicurezza informatic­a».

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE Il Cantone ha dato i numeri

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