Otto su dieci restano in azienda
Sondaggio Ari: la maggior parte degli apprendisti con lavoro rimangono nella ditta che li ha formati Studenti e prospettive: in 1’900 hanno risposto al questionario. Colombo: nuove esigenze nel mercato del lavoro.
Il 54,6% degli allievi ticinesi nel settore professionale ha trovato lavoro. Il restante 45,4% è invece ancora disoccupato. In circa 8 casi su 10 formarsi in azienda permette poi di rimanervi. È il quadro di quest’anno ottenuto tramite un questionario proposto dal progetto Apprendisti ricerca impiego (Ari) agli studenti. Nato dalla collaborazione tra il Dipartimento educazione, cultura e sport (Decs) e l’Istituto universitario federale per la formazione professionale (Iuffp), l’Ari da oltre un decennio svolge un’indagine su coloro che hanno terminato un percorso di studi. Lo scopo è capire come i giovani vogliano proseguire nella loro formazione. Ma veniamo ai numeri. Il questionario è stato consegnato a 2’991 studenti che stavano concludendo la formazione. Ha risposto il 63,3% di loro, ossia 1’894 neodiplomati. Questa percentuale non è la più alta degli ultimi anni, ma a livello numerico si ha comunque una quantità significativa. «Abbiamo una fotografia consolidata e ben rappresentativa della situazione», ha specificato il capo della Divisione per la formazione professionale Paolo Colombo. Poco più della metà dei giovani, per la precisione il 54,6% (il dato più alto mai ottenuto), aveva trovato un posto di lavoro o intendeva continuare il percorso di studi secondario o terziario, mentre il 45,4 non aveva ancora un’occupazione. Fra questi ultimi, coloro che erano alla ricerca di un impiego, quelli che non lo stavano cercando e altri che prevedevano di proseguire negli studi. Erano 746 gli allievi, ossia il 39,4% del totale censito, che avrebbero voluto un consulente Ari nella ricerca di lavoro. Segno che in Ticino l’attività di orientamento professionale è tutt’altro che secondaria. Basti ricordare anche gli incontri promossi dall’Associazione industrie ticinesi (Aiti) nelle scuole medie e con le famiglie degli allievi. Un aspetto incoraggiante per il Cantone riguarda gli apprendisti che hanno un posto di lavoro: l’82,1% lo ha trovato nell’azienda di formazione. «Questo è un dato positivo, ma le aziende che propongono una formazione non sono molte», dice a ‘laRegione’ il direttore dell’Aiti Stefano Modenini. «Oltretutto – aggiunge – più o meno cinque o sei ditte formano circa la metà degli apprendisti dell’industria. C’è però una parte di aziende che è disposta a formare i giovani, ma poi, una volta terminata la formazione, non li trattiene». Se dunque è importante ricordare questa percentuale, non dobbiamo dimenticare che non tutte le aziende ticinesi hanno i mezzi finanziari e il tempo per occuparsi degli apprendisti. Quali possono essere delle soluzioni? «Aiutare le imprese, magari consorziandole tra di loro oppure facendo sì che un giovane faccia diversi periodi della sua formazione in più aziende», spiega Modenini. Tornando al sondaggio, alcuni giovani si sono detti pronti a partire sia per un altro cantone sia per l’estero, a formarsi. Il
motivo, ha sottolineato Colombo, è da ricercarsi in due fattori: «Non solo ci sono pochi impieghi, ma sono emerse nuove esigenze nel mondo del lavoro». Il capo dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione Furio Bednarz ha sottolineato che «oltre alle lingue e all’insegnamento bilingue, è fondamentale la maturazione della persona. E importanti sono pure le competenze trasversali, come ad esempio la mobilità». Secondo Modenini, tuttavia, «alcuni giovani non se la sentono di andare Oltralpe, anche se lì la piazza industriale è più sviluppata. Se però uno vuole progredire nella professione deve spostarsi». Isolarsi in Ticino non sembra quindi una soluzione. Poi vi sono la digitalizzazione e l’automatizzazione delle imprese, che porteranno lavoro a livello tecnico, ma rischiano di impoverire ulteriormente il mercato professionale. «Ciò che potrebbe capitare è che ci siano posti ma per personale più qualificato, ci saranno più ingegneri e meno operai – evidenzia Modenini –. Ma questo è quello che chiede il Paese: se si vogliono aziende con un alto valore aggiunto non vuol dire che l’occupazione aumenterà. Ci saranno comunque nuove funzioni: pensiamo a come si è sviluppata la logistica in relazione alla vendita, ma anche alla gestione dei dati e alla sicurezza informatica».