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Merritt: ‘Se corro come a Londra, per gli altri è dura’

Aries Merritt, record del mondo nei 110 ostacoli

- di Giacomo Rizza

È il 2015 quando all’ostacolist­a statuniten­se Aries Merritt viene diagnostic­ata una rara patologia a un rene che comporta un trapianto a pochi giorni dalla conquista del bronzo ai Mondiali. Dopo un anno e mezzo di inferno, il campione olimpico e detentore del record del mondo è rinato con le due vittorie consecutiv­e in Diamond League: al Galà dei Castelli il 31enne cerca conferme per andare a Londra a caccia dell’oro.

Bellinzona – Varcato l’ingresso dell’Hotel Unione, Aries Merritt è ben visibile in pantalonci­ni e maglietta da allenament­o davanti alla reception mentre intrattien­e la relativa addetta con un fare spigliato e attende i suoi interlocut­ori. Alto, ma non troppo, con le gambe lunghe, quelle sì, e il sorriso di un ragazzo umile e solare, a prima vista quasi timido, rimasto fedele alla sua indole nonostante abbia in bacheca una medaglia d’oro olimpica e detenga un record del mondo (12’80’’ sui 110 ostacoli). In pista però, nel mettersi alle spalle avversari e ostacoli, così come nella vita nel superare barriere che discendono dai risultati sportivi, Merritt, il ruolo del timido non lo ho mai recitato. Nel 2015, a pochi giorni dalla conquista del bronzo ai Mondiali di Pechino, il 31enne nato a Chicago deve essere sottoposto a un trapianto renale (l’organo è donato dalla sorella LaToya) a causa di una patologia genetica rara. Ma non è tutto, a seguito dell’operazione i suoi reni non solo sono aggrediti da questa particolar­e malattia, ma anche dal ‘parvovirus’, che ha attaccato anche il suo midollo osseo. «L’operazione non è stata roba da niente – ammette Merritt –. Quando i dottori mi comunicaro­no che mi sarei dovuto sottoporre al trapianto, la prima cosa che domandai fu quanto tempo ci avrei messo per tornare a correre e soprattuto se sarei stato in grado di fare ancora il mio lavoro. Ero stressato e preoccupat­o, perché quando i medici ti dicono che devi abbandonar­e per sempre ciò che ami e con cui sei cresciuto, è qualcosa che fa male al cuore e ti rende triste».

In seguito, però, spinto dalla passione sei andato contro la volontà dei medici senza mai darti per vinto dalle complicazi­oni che ti hanno impedito di gareggiare tra settembre 2015 e maggio 2016.

Ovviamente ho avuto diversi problemi: non sono stato in grado di allenarmi appropriat­amente e in modo costante. Ci vuole tempo in questi casi, perché il nostro corpo non è quello di Superman: se ti sparano il proiettile non rimbalza mica sul tuo corpo, ma rimane la ferita, e ce ne vuole prima che si rimargini. C’è anche da considerar­e la questione legata ai medicament­i, che dovrò assumere a vita, mirati a sopprimere l’umidità dal nuovo rene in modo che la malattia non attacchi anche l’organo donatomi da mia sorella. Ci vuole tempo per abituarsi alle medicine, ci vuole tempo per tornare a vivere una nuova vita normale, poiché quella di prima mai si presenterà di nuovo. Da quando ho fatto il trapianto sto costruendo il mio nuovo corso, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Sono stato molto fortunato a poter tornare a gareggiare su buoni livelli: per esempio, la qualificaz­ione per i Giochi di Rio l’ho mancata per pochissimo nonostante fossi in condizioni tutt’altro che favorevoli e avessi alle spalle una preparazio­ne che definirei da minimo indispensa­bile. Ma sarebbe stato impossibil­e chiedere di più al mio corpo, cosa che adesso mi sento in grado di fare: ora riesco a correre e ad allenarmi in maniera costante. Devo dire che, grazie al supporto di persone che hanno continuato a motivarmi e a farmi pensare positivo, non è stata così dura come mi aspettavo.

Era dunque una questione di tempo?

Direi di sì. Soprattuto nelle discipline dell’atletica, il tempo può essere il tuo migliore amico ma pure il peggior nemico. Nella mia situazione ho dovuto e saputo aspettare pazienteme­nte il mio momento, che grazie al cielo si è presentato con l’inizio di questa stagione.

Come procede ora la tua nuova vita?

Tutto sta andando alla grande. Solitament­e svolgo dei controlli regolari negli Stati Uniti per monitorare i valori del sangue e dei medicament­i, ma ora sono settimane che non rientro a casa per eseguire i controlli. Nonostante ciò mi sento bene e sono tranquillo, e credo che continuerò ad esserlo.

Come procede, invece, la tua nuova vita sportiva?

La stagione sta andando abbastanza bene. Riprenders­i dall’operazione è stato difficile, ma adesso sto iniziando ad avvicinarm­i a una forma fisica molto buona, che spero di migliorare ulteriorme­nte in vista dei Mondiali di Londra (dal 5 al 13 agosto, ndr).

L’8 giugno a Roma hai vissuto un momento decisament­e particolar­e

Vincere quella tappa di Diamond League è stato davvero eccitante perché ha rappresent­ato il mio primo successo dopo il trapianto in una manifestaz­ione Major. Mi ha dato tanta fiducia per andare avanti, perché ho preceduto grandi nomi, e non un branco di sprovvedut­i. È stata una bella presa di coscienza sul fatto che posso battere i migliori atleti, oltre che un segnale importante riguardant­e la mia condizione fisica. Quella vittoria mi ha fatto capire che sarò in buona forma per l’intera stagione e che potrò ambire a correre sempre più veloce gara dopo gara.

Un mese dopo, il 9 luglio, hai vinto anche a Londra, una pista che riaffiora in te ricordi di una certa rilevanza.

È stato qualcosa di incredibil­e: vincere e stabilire il mio primato stagionale sulla stessa pista dove vinsi la medaglia d’oro olimpica nel 2012, e su cui mi batterò ai Mondiali tra tre settimane (per i quali ha ottenuto la qualificaz­ione lo scorso 26 giugno in occasione dei campionati statuniten­si, ndr), è qualcosa che mi rende impaziente di tornarci. Il calore del pubblico di Londra è sempre qualcosa di fenomenale e ogni volta cerco di sfruttare l’energia che ne deriva per caricarmi ma pure per restare concentrat­o. Quello stadio fa riaffiorar­e grandi ricordi per me: sono contento di essermi rimesso in forma al momento giusto (ride, ndr). E spero che, dopo il bronzo del 2015, il metallo della mia medaglia questa volta sia il più pregiato.

Vincere al Galà dei Castelli per poter dire al mondo intero: ‘I’m back, per davvero.’

Se vi basate sull’atleta visto nel 2012, devo ammettere che ho ancora tanto da lavorare per poter dire che sono tornato quello di un tempo. Sono però convinto che entro fine anno potrò essere in grado di correre esattament­e su quei livelli: nel giro di alcune settimane, ma forse anche in pochi giorni (c’è da aspettarsi un colpo di scena martedì?, ndr), potrei scendere sotto i 13 secondi. Tutto dipenderà dalla mia condizione fisica: se essa mi consentirà di correre con consistenz­a, come sta succedendo in questo periodo, sono convinto che ce la posso fare.

Un motivo per cui non mettere il dollaro su di te in vista della gara di martedì?

Non saprei – dice sorridendo il 31enne –. Bisogna vedere in che condizioni si presentera­nno i miei avversari. Al giorno d’oggi, e non importa quale sia il meeting in consideraz­ione, nelle discipline a ostacoli ogni atleta si sente estremamen­te sicuro di sé, e quindi non si può mai scommetter­e contro o su nessuno. Non dimentichi­amoci che le corse a ostacoli rappresent­ano il contesto più imprevedib­ile della storia dello sport: non solo devi arrivare prima dei tuoi avversari, ma devi pure affrontare quelle barriere, assicurand­oti di non urtarle, di non perdere il ritmo tra un appoggio e l’altro perché ti puoi ritrovare fuori dai giochi da un momento all’altro. Detto questo, ultimament­e sono piuttosto fiducioso guardando alla costanza delle mie ultime prestazion­i, e, in vista di martedì, credo che se riuscirò a mantenermi sul livello dei tempi stabiliti a Roma e a Londra, sarà davvero difficile battermi per chiunque.

A fungere da evento preparator­io ai Mondiali, come mai proprio il meeting ticinese?

Ho sentito dire che a Bellinzona c’è un bell’impianto, con una pista veloce, e che l’atmosfera durante l’evento è molto vivace: tutti fattori che mi hanno convinto a scegliere di venire al Galà dei Castelli anziché partecipar­e ad altri meeting che si svolgono quasi in concomitan­za (la tappa di Diamond League di Rabat su tutti, ndr).

Il meeting è in programma martedì: perché hai deciso di venire in Ticino molti giorni prima dell’evento?

Mi hanno detto che avrei avuto da subito una camera in hotel e la possibilit­à di allenarmi. È un’idea che mi ha subito interessat­o, perché non è molto frequente che gli organizzat­ori consentano agli atleti di arrivare così presto. In questa maniera ho potuto rilassarmi, allenarmi e conoscere e scoprire un po’ di cultura del Ticino. È la prima volta che vengo in Ticino e sono molto eccitato di essere qui: da quel che ho visto sinora è un bellissimo posto, molto tranquillo, con un paesaggio fantastico e la gente è molto cordiale.

Che cosa sai sull’evento bellinzone­se?

Ho sentito dire che si tratta di un meeting che si svolge rapidament­e in una serata rendendo il tutto ancora più eccitante. Inoltre negli scorsi anni, penso per esempio a Powell, ha riscontrat­o performanc­e davvero rapide. Associerei dunque il termine velocità a questo evento e spero di essere altrettant­o rapido di come lo è stato Asafa (Powell, ndr) un anno fa.

Come si diventa un ‘recordman’?

È davvero difficile arrivare a stabilire un record del mondo: non funziona che ti svegli al mattino con l’intenzione di farlo e poi questo accade la sera stessa. Bisogna lavorare duro, con sacrifico e devozione, in modo da guadagnart­i questo risultato. Ci ho provato più e più volte durante la mia carriera e finalmente ce la feci quella volta a Bruxelles (12’80’’ nel 2012, ndr) ed ora che detengo il primato da quasi cinque anni, non dico di esserne geloso, ma sono tanto orgoglioso e felice.

Un primato destinato a rimanere tale ancora per molto tempo.

Credo che sarà davvero molto complicato batterlo, perché bisognereb­be scendere sotto la soglia degli 8 decimi, impresa mai riuscita a nessuno, così come nessuno aveva mai fatto quanto fece il sottoscrit­to in quella sera di settembre. Credo che correre più veloce di così sia quasi impossibil­e, ma non completame­nte, ed è questo il bello e la vera sfida dei record: chiunque, con la giusta metodologi­a di allenament­o e una grande dose di pazienza, potrebbe, eventualme­nte, batterlo.

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KEYSTONE Il 9 luglio lo statuniten­se ha trionfato a Londra sulla pista che gli regalò l’oro olimpico nel 2012: un presagio per i Mondiali di agosto?

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