Scene da un matrimonio
«Se negli ultimi tempi ci siamo cordialmente detestati, adesso ci detestiamo e basta». Furono queste le parole di Piero Pelù nell’incontro con la stampa tenutosi alla Wea (label dei Litfiba al tempo) nel luglio del ’99. Circostanza definita «irrevocabile» dal frontman, che si portò via gli strumentisti dell’epoca («una decisione loro»), lasciando a Ghigo il nome del gruppo, per non «ritrovarsi in un’aula di tribunale». Dal canto suo, il chitarrista “rimbalzò” l’offerta, perché il marchio sarebbe stato suo sin dalla nascita (come da regolare deposito Siae). In un clima decisamente infuocato, non mancarono i ringraziamenti all’ex socio («per tutte le dritte e anche le “storte” che mi ha dato»). Lapidari i titoli di molta stampa italiana: “Pelù: addio Litfiba, con Ghigo ci detestiamo” (Corriere della Sera), “Addio ai Litfiba, io e Ghigo ci odiamo” (La Stampa), “Tutto è finito quando Ghigo mi ha detto ‘Non mi fido più di te’” (il Giorno). Proprio il Giorno raccolse uno dei pochi sfoghi del chitarrista, lapidario: «Io voglio fare rock, lui pop. A me di fare duetti o partecipare alle sfilate di moda non interessa proprio». L’addio di Pelù, in tempi lontani dai 140 caratteri, fu racchiuso in una lunga lettera riepilogativa della bellezza dei 19 anni insieme («sembrano durati un attimo infinito») e degli ultimi mesi di relazione, durante i quali – parole di Piero – «erano scomparsi in maniera netta quell’intesa umana e quegli stimoli artistici che sono i principi fondamentali per una collaborazione creativa fra persone adulte». Senza filtri anche il riassunto telegrafico di un rapporto professionale divenuto impossibile a causa delle «pressioni psicologiche per cercare di ottenere quello che si vuole e imporre la propria linea», frutto di una partnership divenuta una «corsa a voler dimostrare al mondo quello che si è o che si suppone di essere». Il tanto temuto (e alla fine auspicato) taglio del «cordone ombelicale» che aveva tenuto unito il gruppo, aggiungeva Pelù, «qualcuno doveva prendersi il coraggio di farlo». La conclusione a effetto della lettera venne riservata dal cantante alla sua donna, che si era «sorbita troppi mesi di deliri senza farmi mai trovare la mattina con un’accetta piantata nel capo». Porte chiuse di Pelù a Renzulli, e viceversa. Solo una chiave, lasciata dal cantante nelle mani del “Signor Tempo”, al quale affidare la possibilità di «riavvicinarci o tenerci lontani per sempre». Oggi sappiamo com’è andata. B.D.