laRegione

Estremismo violento

La cooperazio­ne allo sviluppo come politica di sicurezza? Esiste un legame diretto tra il terrorismo e il sottosvilu­ppo. Gli organi dell’Onu e anche la Svizzera ne sono convinti. Bilancio delle conoscenze scientific­he in materia.

- Di Nathalie Bardill, traduzione di Sonia Stephan

Per il ministro svizzero degli Affari esteri, la cooperazio­ne allo sviluppo e la politica di sicurezza vanno di pari passo. Secondo lui, è pressoché impossibil­e dissociare gli interessi in materia di sicurezza interna da situazioni di minaccia politica esterna. Didier Burkhalter vede quindi la prevenzion­e dell’estremismo violento (Prevention of Violent Extremism, Pve) come un compito importante della cooperazio­ne allo sviluppo. Se quest’ultima segue gli approcci della Pve, sottrae un terreno fertile dell’estremismo ai gruppi terroristi­ci. Questo genere di cooperazio­ne allo sviluppo rafforzere­bbe la «capacità degli individui e delle comunità a resistergl­i» e li aiuterebbe a «instaurare delle condizioni entro le quali nessuno sarebbe tentato di cedere alla violenza per motivi politici o ideologici o di lasciarsi reclutare da estremisti violenti». È quanto si può leggere nel Piano d’azione di politica estera della Svizzera per la Pve. La paura degli attentati aumenta, anche all’interno delle nostre frontiere. I progetti che mirano a prevenire l’estremismo violento benefician­o perciò di un ampio sostegno da parte della popolazion­e e in seno all’Onu. La cooperazio­ne allo sviluppo ha come obiettivo la riduzione della povertà nel mondo. La Pve le impone un riorientam­ento? Oppure la cooperazio­ne allo sviluppo contribuis­ce già, in ogni caso, a eliminare ciò che costituisc­e il terreno fertile della violenza e delle ideologie estremiste? Fino a che punto la lotta classica contro la povertà riduca l’estremismo violento è oggetto di controvers­ie tra i ricercator­i. Il problema di questa ricerca sta nel fatto che, finora, si è focalizzat­a sul fenomeno (relativame­nte) marginale del terrorismo internazio­nale. Non rileva i movimenti estremisti locali che godono di una larga base e i motivi di adesione a tali movimenti. La ricerca sul terrorismo respinge una relazione diretta tra la povertà, l’ineguaglia­nza e gli atti di violenza. Per contro, la ricerca sulla violenza politica mostra l’esistenza di una relazione concreta con la povertà e la marginaliz­zazione economica delle minoranze. Il legame è particolar­mente forte in un contesto di strutture statali fragili. La ricerca ritiene che uno Stato fragile e l’assenza di libertà civili siano dei fattori predominan­ti nell’emergere della violenza politica ed estremista. Una cattiva governance, la “non-soddisfazi­one” dei bisogni fondamenta­li da parte dello Stato (educazione, salute, prosperità) e delle esperienze di discrimina­zione e di esclusione delle minoranze, possono essere riunite sotto la stessa bandiera della fragilità. A ciò occorre aggiungere la mancanza di partecipaz­ione politica e la crescente repression­e delle persone con opinioni diverse. Se la cooperazio­ne allo sviluppo interviene su questi fattori, rende più difficile il reclutamen­to di seguaci per i gruppi estremisti. Così facendo, lotta anche contro dei potenziali sentimenti d’impotenza. Da sola però la frustrazio­ne non basta a fare emergere dei gruppi violenti: in questo contesto incide anche la capacità degli attori politici o della società civile di “cogliere l’attimo” e canalizzar­e l’insoddisfa­zione. Molti interventi della cooperazio­ne allo sviluppo puntano, a giusto titolo, sul buongovern­o, lo Stato di diritto e la partecipaz­ione politica. Questi approcci democratic­i comportano anche dei rischi. Le transizion­i politiche, per l’instabilit­à che le caratteriz­zano, possono offrire nuove opportunit­à a gruppi estremisti e dar luogo a una violenza politicame­nte motivata. Per prevenire la violenza è fondamenta­le che le persone siano coinvolte nelle attività comunitari­e. Se non esistono delle strutture locali, le organizzaz­ioni a carattere violento possono fare breccia, in particolar­e tra i giovani in cerca di senso e d’identità. L’accesso alla formazione profession­ale e agli impieghi che favoriscon­o l’inclusione sociale dei giovani è una priorità nel Piano d’azione della Svizzera per la Pve. Una breve panoramica delle ricerche sui fattori che generano l’estremismo violento conferma che certi raggruppam­enti estremisti reclutano delle persone sotto-occupate e senza impiego. Il piano d’azione raccomanda quindi alla cooperazio­ne allo sviluppo di dare la priorità alla creazione di posti di lavoro, in particolar­e nelle regioni segnate da forti correnti d’opposizion­e e mirando agli uomini in età di combattere. Mentre questi interventi possono rivelarsi positivi, un altro studio mette in guardia da una sopravvalu­tazione della relazione tra violenza politica e disoccupaz­ione. La propension­e alla violenza sarebbe il risultato di molteplici esperienze d’ingiustizi­a; la sola disoccupaz­ione non basterebbe. La focalizzaz­ione sulla formazione profession­ale – in stretto colle- gamento con la creazione d’impieghi al fine di non produrre altri disoccupat­i frustrati – è comunque una strategia valida per ridurre la base di reclutamen­to di gruppi estremisti. Per prevenire l’estremismo è opportuno adottare dei programmi di formazione, perché anche la promozione del senso critico, della tolleranza e di strategie di risoluzion­e non violenta di conflitti, riduce l’attrattiva di alcune ideologie estremiste. D’altra parte, la formazione può favorire una sensibilit­à maggiore verso l’ingiustizi­a sociale ed economica e incoraggia­re una volontà di cambiament­o di rotta politico. Questo a maggior ragione là dove non ci sono delle possibilit­à di protesta moderata e di esercitare un’influenza politica. Quindi, i soli interventi nell’ambito della formazione non sono sufficient­i. L’approccio della Pve ha come problema il fatto che oggi l’estremismo violento sia collegato all’islam politico. Esiste il rischio che, in quest’ottica, la cooperazio­ne allo sviluppo riduca i suoi interventi collegati a delle popolazion­i sistematic­amente sospettate a causa della loro religione. Inoltre, un’attenzione troppo evidente nei confronti dell’estremismo può provocare delle resistenze della popolazion­e e della società civile in questione. E questo può complicare la collaboraz­ione con le organizzaz­ioni della società civile critiche nei confronti del governo. Organizzaz­ioni che già, per il loro criticismo nei confronti del governo, sono ritenute estremiste dalle élite dominanti. È evidente che la cooperazio­ne allo sviluppo contribuis­ce già oggi a prevenire la violenza. Il suo compito principale – l’impegno a favore di una ripartizio­ne più equa delle risorse, di uno Stato di diritto più efficace, d’istituzion­i oneste, di una partecipaz­ione politica e a favore di una società civile forte e aperta – riduce allo stesso tempo l’attrattiva di gruppi violenti che promettono un avvenire più radioso. La cooperazio­ne allo sviluppo ha quindi in questo ambito una sua utilità, anche se non si attua all’insegna della Pva. Non garantisce la prevenzion­e di atti di violenza. La violenza è un fenomeno tanto complesso quanto lo sviluppo è un processo multiforme. La cooperazio­ne allo sviluppo può contribuir­e in modo considerev­ole allo sviluppo e al contrasto della violenza, ma non può controllar­e completame­nte l’uno e l’altra.

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SWISSAID
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SWISSAID Un vecchio carro armato in Senegal

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