Gli ottimisti la vedono ‘diversa’
Per dimostrare che nei prossimi due anni ci sarà un “immancabile” crollo di Wall Street, i pessimisti sciorinano dati e grafici per dire che l’attuale situazione ricorda altre del passato: la curva dell’S&P ricalca l’indice nel 2000 o nel 2007-08, e argomentano che la storia non mente. Dati e grafici e flussi sarebbero invece la prova che le attuali condizioni ci rimandano invece a momenti di un fulgido passato: cosicché Wall Street ne avrebbe di strada da fare. L’ineluttabile recessione, che si prospetterebbe già dal prossimo anno, sarebbe dimostrata dalla storia: perché i cicli economici non sono “mai” durati così a lungo e perché i segni di stanchezza nell’economia sono davanti agli occhi di tutti. Ma questa volta è diverso, argomentano gli ottimisti, con un ragionamento in apparenza antistorico, se non fosse che trova pretesti in altri felici momenti del passato: questa volta è diverso, perché un’anomala, lenta ripresa ci ricorda le fasi iniziali di un ciclo economico, come a metà degli anni 90. La pretesa scientificità della lezione storica si presta alle più svariate interpretazioni e alla soggettiva convenienza. Ma la storia dei prossimi anni la conosceremo solo a posteriori e anche allora ci dibatteremo nell’interpretarla. Per ora, la sola affermazione ragionevole è che i mercati azionari e obbligazionari sono alquanto cari e, se è vero che i cicli economici sono durati mediamente 5,7 anni e che il più longevo (1991-2001) s’è agitato 10 anni, nulla esclude che il presente, già all’ottavo anno, possa sopravvivere oltre ogni aspettativa. Questa volta c’è davvero qualcosa di diverso, perché l’economia dei paesi sviluppati cresce molto più lentamente e senza inflazione, perché non si vede pressione sui salari, manca l’effervescenza dei consumi, soprattutto per effetto di una maggiore diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza: in altre parole, nel relativo impoverimento delle classi medie. Accanto a ciò, e forse conseguenza di queste anomalie, c’è il fattore più distorsivo mai sperimentato in passato con queste dimensioni: le politiche monetarie ultraespansive e non convenzionali delle banche centrali che hanno reso 8 anni di ciclo economico un’emergenza senza apparente fine. Ma tra tutte le anomalie, l’unica cosa che ricalca il passato è l’esuberanza delle borse, in presenza però di un ancor più effervescente mercato obbligazionario, specie per i bond a più basso rating. Se una correzione non è da escludere nei prossimi mesi, e anzi sarebbe auspicabile, non si vede tuttavia alcun segno di incombente recessione. Quantomeno non lo si scorge in economia, se non nella potenziale crisi, a lungo e vanamente paventata, in Cina. Se una recessione si sta davvero preparando, è probabile che l’innesco parta ancora dalla finanza, come nelle ultime due occasioni: forse non da una sopravvalutata Wall Street, che a livelli da apparente bolla speculativa può mantenersi a lungo, ma, come 10 anni fa, ancora dal mercato del credito e in particolare dai bond societari ad alto rendimento (junk bond) il cui spread sui Treasury è tornato ai minimi dal 2014 e il premio per il rischio è diventato negativo. Come nel 2007-08 furono i mutui subprime la causa scatenante della depressione, a provocare un’eventuale crisi potrebbero essere oggi i junk bond, dal 2010 emessi in quantità tre volte superiori al 2002-2008, grazie alle politiche delle banche centrali. Con fallimenti in crescita tra le società meno solide, il fattore cruciale, capace di trasformare un malessere già in atto in un’epidemia, è l’innalzamento dei tassi d’interesse. L’ammontare di questi bond, collocati a ritmi impressionanti anche in Europa, fa impallidire i mille miliardi di titoli subprime. Per questo ci si augura che la politica della Fed (e, a seguire, delle altre banche centrali) sia sufficientemente determinata per contenere una probabile bolla speculativa e, nel contempo, prudente per non innescare una nuova crisi: un compito che molti analisti ritengono alquanto arduo.