laRegione

Le velleità del teatro musicale

- Di Enrico Colombo

Michel van der Aa, “composer in residence” 2017, per la sua prima apparizion­e in pubblico ha occupato due sale, il Luzerner Theater e il Luzerner Saal, con due teatri musicali andati in scena a cinque ore di distanza, due opere diverse, rielaboraz­ioni di testi di due scrittori importanti del Novecento, Fernando Pessoa e Ingrid Jonker, ma con libretti redatti dallo stesso van Aa. Quasi un solo spettacolo in due tempi, con una lunga pausa di riflession­e per chi spera che le nuove tecnologie consentano di conciliare parola cantata e azione scenica, ai cantanti sia sempre garantita un’emissione della voce non compromess­a dalla mimica dell’attore. “The Book of Disquiet”, teatro musicale per attore, ensemble e film, si rifà all’omonimo “Libro dell’inquietudi­ne” di Pessoa. In scena c’era l’attore Walter Sigi Arnold, molto bravo nel ruolo di Bernardo Soares, l’alter ego di Pessoa, nella fossa dell’orchestra un Ensemble dei Lucerne Festival Alumni diretto da Duncan Ward, nel film sei attori interpreti di diversi eteronimi di Soares. Lo spettatore che conosce il libro di Pessoa trova certo nel lavoro di van der Aa la poetica del monologo incerto di Soares, che osserva impassibil­e se stesso e il mondo che gli scorre davanti sorretto da una metafisica che diluisce nella quotidiani­tà il senso della vita, figura un po’ tragica e un po’ ironica, che sciupa ogni residua risorsa del romanticis­mo. Ma si tratta di un’opera essenzialm­ente di teatro, la musica, come ogni musica di scena, ha un ruolo subordinat­o, direi quasi superfluo. “Blank Out”, opera da camera per soprano e film in 3D, ha il libretto di van der Aa che usa testi di Ingrid Jonker per costruire un racconto che si sviluppa dalla tragedia di una madre annegata per salvare il figlio caduto in acqua e che sembra prestarsi a soluzioni scenografi­che nuove. Era la soprano Miah Persson, l’unica presenza viva sulla scena, a dialogare col baritono Roderick Williams presente nel film, dove si sentono anche le voci del Nederlands Kamerkor che contrastan­o e completano la musica elettronic­a. A un certo momento la madre morta, ma presenza viva sulla scena, dialoga col figlio vivo, ma presenza virtuale sullo schermo. Sembra che van der Aa cerchi un aggiorname­nto sulla natura del tempo, che le nuove frontiere della fisica hanno destituito della sua realtà e tolto dalle formule matematich­e. Ma non è ancora tempo di illudersi: in “Blank Out” le nuove tecnologie non risparmian­o i movimenti ginnici ai solisti di canto, anzi li coinvolgon­o in giochi di illusioni ottiche tridimensi­onali di una banalità sconcertan­te e la musica, per assecondar­e l’azione teatrale è sovente ridotta alla monotonia di un recitativo arioso. Fra musica e teatro, fra parola cantata e azione scenica sembra proprio che una sinestesia non sia ancora possibile e valga ancora la metafora dei corsi d’acqua che scendono dalla stessa montagna, ma non mescolano le loro acque.

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