laRegione

Più dura è meglio è

Carola Fiori Balestra

- di Marzio Mellini

Il motore è la passione, non c’è ombra di dubbio. Non fosse così, diventereb­be complicato, in età adulta (46 anni), con due figli gemelli adolescent­i e una famiglia cui continuare a dare la priorità, eccellere nel duro mondo del triathlon e dell’Ironman. Sarebbe difficile anche per la coriacea Carola Fiori Balestra, 46 anni, avvicinata­si al triathlon sei o sette anni fa. In grado, con grande applicazio­ne e forza d’animo e con un fisico sottoposto a duri carichi di lavoro, di primeggiar­e anche a livello internazio­nale, nella specialità degli Ironman 70,3, altrimenti noti come “medi”. «Capita – ammette la ticinese – di non aver voglia di allenarsi o di chiedersi “chi me lo fa fare?”, ma poi si esce. I risultati arrivano e sono d’aiuto, ma è soprattutt­o il piacere che si prova, a fungere da stimolo. Se non vado a fare un allenament­o, poi mi manca. Ho proprio bisogno di uscire con la bici, o di fare una corsa. Con un fine preciso, però, non tanto per fare una gita fine a se stessa».

Il carattere schivo non riesce a celare la grande determinaz­ione che anima una donna che cerca anche il risultato, la prestazion­e, pur restando fedele alla ricerca della soddisfazi­one personale.

Ogni volta che si fa una gara, c’è una parte di sofferenza. Poi però ti ritrovi già proiettato alla prova successiva. Per me la sfida è arrivare sul podio, pur sapendo che molte delle mie possibilit­à dipendono dal tipo di gara a cui partecipo. Lo faccio per me, perché mi piace, ma non concepisco una gara senza l’aspetto agonistico e competitiv­o. Non mi piace farla tanto per arrivare al traguardo. Se partecipo, è per farla bene.

Tecnicamen­te, come si strutturan­o gli allenament­i?

Ci sono periodi di carico e periodi pre-gara in cui si fa meno. A inizio anno ricevo dal mio allenatore una tabella con le prime indicazion­i. Ogni domenica devo consegnarg­li un resoconto, segnalando­gli cosa funziona e cosa invece no. Quando ci si avvicina alla scadenza della gara, si segue un programma specifico. Due settimane prima si riducono un po’ i carichi, una settimana prima della gara si fa ancora qualcosa in meno, pur restando, nel suo complesso, un carico notevole, agli occhi di una persona che non svolge questo tipo di attività.

Ci sono giorni in cui un triatleta non fa nulla?

Nella settimana che precede la gara, c’è un giorno in cui non faccio niente, solitament­e il martedì. Poi si fa sempre qualcosa, anche alla vigilia della gara. Dopo la quale, ci sono tre giorni di recupero, ma è un recupero attivo, sulla bici, o in piscina. Infine, si ricomincia, con un lavoro graduale, in funzione della scadenza successiva.

Tra l’atleta chiamato a grandi sacrifici e l’allenatore è una questione di fiducia.

Mi attengo alla tabella che ricevo, mi fido dell’allenatore, faccio quello che dice lui. La fiducia deve essere reciproca. Fabio Vedana mi è stato segnalato da più persone del settore (tra i quali i “Bad Boys” ticinesi Andrea Zamboni, Igor Nastic e Jean-Marc Cattori). È stato tecnico della Nazionale svizzera, ha portato Nicola Spirig alle Olimpiadi di Londra nel 2012. Ha lavorato per il Cst, conosce bene anche la nostra regione. Lavoro con lui da più di un anno e mezzo. All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà, nel passaggio da un allenatore all’altro. Quello precedente era un coach diverso, con metodi molto diversi. La transizion­e avvenne in un periodo anche abbastanza complicato, segnato da un infortunio che mi ha causato non pochi grattacapi (sciatica, ndr). Ma ora tutto si è sistemato e abbiamo ingranato.

Inevitabil­e che, tra tre discipline, ce ne sia una meno gradita.

Per me è il nuoto – rivela Carola senza esitazioni –. Non esco dall’acqua nelle ultime posizioni, ma nemmeno nelle prime. Mi impegno, sono migliorata, ma resta il mio tallone d’Achille. In acqua perdo tempo, in bici e nella corsa poi recupero.

A questa età ci sono margini di migliorame­nto, in piscina?

Ho iniziato a nuotare sei o sette anni fa, per conto mio, quando mi sono avvicinata al triathlon. La tecnica era quella di una nuotatrice senza pretese. Avanzavo, diciamo così. Lo scorso anno, però, mi sono detta che avrei dovuto migliorare. Ho cominciato ad allenarmi due volte alla settimana a Bellinzona, con Maurizio Marsili della Turrita Nuoto. Con lui ho fatto enormi passi avanti sul piano della tecnica, anche se l’apprendime­nto non può essere quello tipico di un bambino o di un giovane che in un attimo fa progressi enormi. Ho sempre bisogno di qualcuno che mi richiama all’ordine e mi corregge. Sono migliorata, anche nei tempi. Gli anni più adatti all’apprendime­nto sono alle spalle, ma qualche margine c’è ancora. Il nuoto resta però la sessione d’allenament­o più dura. È una sofferenza. Ogni volta che entro in acqua è davvero dura. L’allenatore è lì, cronometro alla mano, mi sprona ad accelerare se vado troppo piano. È l’unico modo per progredire. L’impegno ce lo metto, ma non ho la stessa facilità che ho, per esempio, con la bicicletta.

La bici è il punto di forza.

Apprezzo in modo particolar­e i percorsi duri, con tanta salita e tanta discesa. Sono quelli nei quali è possibile fare davvero la differenza. Più dura è, meglio è.

Alla luce della difficoltà nel nuoto, perché la scelta del triathlon?

In realtà mi è sempre piaciuto lo sport in generale: nuotavo, per piacere; andavo in bici, correvo... Finché un giorno qualcuno mi propose di fare il Mini Tri, al Triathlon di Locarno. L’ho presa come una piccola sfida personale e così ho cominciato. Ho fatto la prima gara, non è andata male, e da lì è arrivato tutto il resto. All’inizio mi allenavo da sola e mi infortunav­o. Non era una questione di quantità – faccio sicurament­e di più adesso – bensì di carichi, che evidenteme­nte erano sbagliati e mal distribuit­i.

Particolar­mente abile in bicicletta, con una predilezio­ne per salite e discese lungo le quali fare la differenza, Carola ama cercare percorsi lontani dal traffico, per quanto possibile. Per motivi di sicurezza, ma non solo. È anche una questione... di spazi.

Se riesco, soprattutt­o nei mesi estivi, prediligo zone come la Mesolcina, o le valli, in cui c’è meno traffico. Quando mi trovo in mezzo alle automobili, gioco d’anticipo: massima prudenza, a prescinder­e. Non mi piacciono i rulli, se posso li evito. Tanti colleghi ci passano delle ore, ma per me il piacere è uscire. Lo stesso principio è applicabil­e alla corsa: scelgo il mio percorso, e vado. Fuori, però.

Il tempo è alleato prezioso, ma è anche tiranno, quando non ce n’è abbastanza.

La mia vita è due cose: la famiglia e lo sport. I ritmi sono scanditi dai figli e dagli allenament­i. Non c’è spazio per altro. Una volta sistemata la casa e badato ai ragazzi, parto con il primo allenament­o. Torno per il pranzo. Se c’è una seconda seduta, sistemo tutto e riparto. Torno per essere a casa quando i figli rientrano da scuola. È sempre una corsa.

Tanti allenament­i sono finalizzat­i alle gare. Il sostegno assicurato da Dani, il marito, è determinan­te, non solo per gli aspetti pratici dei viaggi e delle competizio­ni di cui si occupa in veste di ‘uomo ovunque.’

Avere qualcuno che ti accompagna è fondamenta­le. Un tempo sceglievo gare prevalente­mente in Italia, per gli Ironman olimpici e medi. Ora, invece, per i Challenge facciamo viaggi più impegnativ­i, con lunghe trasferte di quattro o cinque giorni. Anche se i figli sono cresciuti e i miei genitori sono di grande aiuto, Dani continua a essere un grande sostegno. Se avessi un marito che non condivide la mia passione, per me sarebbe molto difficile. Così, invece, oltre al piacere che provo nel praticare questo sport, so che non è un peso per la mia famiglia. Forse, ripensando­ci, per i figli un po’ lo è...

Carola è impegnata per lo più nel circuito degli Ironman 70,3, un ‘mezzo Ironman.’

Gli olimpici sono una distanza che mi piace moltissimo. Fosse per me, farei sempre quelli. Ma con i limiti che ho nel nuoto, in un “medio” concedo meno, e ho possibilit­à di recuperare in bici e nella corsa. Il mio allenatore ha provato a convincerm­i a fare un Ironman a fine stagione, ma si è scontrato con... la mia testa. La mia preoccupaz­ione è la maratona completa, che non ho mai fatto. Anche perché per più di un anno e mezzo ho lottato con una sciatica che mi ha fatto impazzire. Ora, però, sto pensando di correrne una. Se fino a qualche tempo fa l’Ironman olimpico non era una gara a cui pensavo, ora un pensiero sto cominciand­o a farlo.

Il tempo corre, diventa inevitabil­e fare due calcoli. Carola, però, non si è posta una scadenza precisa.

Per ora me la gioco, in ogni gara. Continuo a farlo per piacere. So che con gli anni a poco a poco il mio livello scenderà, ma al momento cerco ancora di migliorarm­i, soprattutt­o nel nuoto. Finché posso e mi diverto, continuerò a farlo.

Consiglier­ebbe il triathlon ai giovani?

Certo. È uno sport che ne contiene tre. È bello per come è strutturat­o, è variato. È una disciplina in grande crescita, grazie all’attenzione che si è cominciato a dare al movimento giovanile, facendo in modo che i ragazzi al triathlon giungano subito e non in un secondo tempo, dopo aver praticato nuoto, podismo o ciclismo.

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DANI FIORI In discesa, con la bici: il suo pezzo forte
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Qui il protagonis­mo non c’entra. Né rivestono un’enorme importanza i peraltro eccellenti risultati che porta a casa. No, la storia di Carola Fiori Balestra, triatleta ticinese impegnata sul fronte degli Ironman 70,3 (medi), narra di una donna di 46...

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