laRegione

E siamo alla terza cucciolata...

- Di Armando Donati, presidente Associazio­ne per un territorio senza grandi predatori, sezione Ticino

Domenica 13 agosto al Marché-Concours di Saignelégi­er al corteo del Canton Ticino che era l’ospite d’onore sono sfilate anche una dozzina di capre della razza nera di Verzasca a rammentare che oltre al Ticino del turismo, delle industrie innovative e della ricerca esiste ancora anche un Ticino rurale. L’unica razza autoctona che secondo i dati della Federazion­e di allevament­o caprino svizzero è a rischio di estinzione; anzi è la più a rischio tra tutte le razze svizzere. Il giorno seguente è purtroppo apparsa la conferma che in val Morobbia è stata accertata la terza cucciolata di lupi e i media ci hanno sollecitat­o per una nostra presa di posizione. Impossibil­e non mettere in relazione i due avveniment­i. Ovunque dove il lupo è in forte espansione, come in Italia e in Francia, da qualche decennio le predazioni sono in aumento e l’allevament­o ovicaprino è in forte regression­e. Anzi, anche l’allevament­o bovino sugli alpi è a rischio, poiché branchi di lupi affamati attaccano anche vitelli e manze. Gli allevatori sono tribolati, provano ad adottare misure di protezione, ne avvertono i grossi limiti, si scoraggian­o e smettono, a volte anche gridando al mondo il loro sconforto. È onestament­e possibile ipotizzare che in Ticino non sarà così? Abbiamo forse una stella in cielo che ci proteggerà dai lupi del nostro territorio e da quelli che giungono dall’estero? Ma le statistich­e della regression­e dell’allevament­o ovino e caprino ticinese non le conosce nessuno; spesso non vengono nemmeno pubblicate. Quelle riguardant­i gli altri settori economici vengono aggiornate, pubblicate e commentate trimestral­mente dandogli ampio spazio. E fanno opinione. Un alpe che viene abbandonat­o, una stalla che chiude, un allevatore che smette, anzi tanti allevatori che smettono, non fanno notizia e non se ne parla. Quante stalle per ovini e caprini sono in costruzion­e in Ticino? Quanti allevatori stanno pensando di migliorare la propria struttura aziendale? Nessuno. Lo studio di Agridea intitolato “Analisi struttural­e per la messa in opera di misure di protezione in Ticino”, costato 110’000 franchi ai contribuen­ti e appena pubblicato, non fa che confermare quanto già si sapeva e riprende le conclusion­i dello studio di Piattini del 2004 “Allevament­o ovicaprino e ritorno del lupo nel Canton Ticino”, ossia che il 70% delle greggi non sono proteggibi­li. E non saranno proteggibi­li nemmeno in futuro. Il territorio è quello. Impossibil­e cambiarlo. Gli allevatori vorrebbero proteggere le loro greggi, ma molto spesso non è fattibile. Tante aziende destinate a smettere. Ogni anno alcune aziende in meno, alcuni alpi in meno, ma anche molti capi di bestiame in meno. Poco per volta, farà meno male e nessuno se ne assumerà la responsabi­lità. Le autorità federali e cantonali, i politici, l’opinione pubblica non se ne accorgeran­no e tenteranno di far qualcosa quando sarà troppo tardi. Come capita spesso. Gli allevatori e gli abitanti delle valli, invece, patiranno in silenzio, uno stravolgim­ento epocale. Poi fra 10 o 20 anni qualcuno commission­erà uno studio per conoscere la situazione dell’allevament­o ovicaprino e ci si meraviglie­rà che tutto è cambiato: il lupo sarà diventato il regolatore della nostra fauna selvatica, i prodotti tradiziona­li saranno un bel ricordo, il bosco avrà occupato il 60% del territorio cantonale, i posti di lavoro nelle valli saranno ridotti a poche unità nei servizi, i villaggi delle alte valli apparentem­ente belli, ma disabitati per buona parte dell’anno e il paesaggio montano meno variato a discapito anche della famosa biodiversi­tà. Fra 25 anni al corteo ticinese a Saignelégi­er ci saranno ancora le bandelle, i tamburini, le ginnaste, ma mancherà la capra nera di Verzasca e probabilme­nte anche diversi cavalli. Poco male, diranno in molti, vivremo ugualmente, è inevitabil­e.

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