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Papà io parto...

- Di Matteo Caratti

Che dire a un figlio che si affaccia al mondo post mattanza di Barcellona? Che dirgli quando ti annuncia che vuole andare a visitare la ‘Sagrada Familia’? Ieri, gli avresti detto: bravo, vai! Ci sono stato anch’io. Oggi i pensieri sono altri. Lunedì, su Repubblica, Massimo Giannini nella sua “lettera alla figlia che va a Parigi per l’Erasmus”, ha insistito sul fatto di continuare a non avere paura. Non dobbiamo mai trasferire le nostre paure sui figli. Figli che hanno tutti i diritti di vedere il mondo coi loro occhi, pieni di fiducia e di speranza. Sarà poi la vita, con le sue mille esperienze, a modificare le prospettiv­e e a produrre future conclusion­i nelle generazion­i che verranno. Nella lettera di Giannini c’è un passaggio molto bello e profondo, eccolo: “Ti ho sempre detto: qualunque cosa accada, tu continua a essere cittadina del mondo, nessun criminale fondamenta­lista, abusando del nome di Allah, potrà farti cambiare idea. Possiamo gridarlo in piazza, nelle 35 lingue parlate da tutte le vittime della mattanza di Barcellona: non ho paura, no fear, no tengo miedo, no tinc por. Ma dentro di noi, purtroppo, sappiamo che non è così. Io ho paura, mentre osservo già pronto all’ingresso di casa il bagaglio che ti accompagne­rà alla Ville Lumière”. Paura. E chi non ne ha di fronte a questa guerra (chiamiamol­a col suo nome) che colpisce nel mucchio e a casaccio, senza che vi sia un fronte classico e neppure un preciso terreno di scontro che basterebbe evitare? Ma la paura di Giannini, che è anche la mia (cioè quella di noi genitori), non deve diventare anche la compagna delle giovani generazion­i. Mentre riflettiam­o, ci rendiamo però conto che la strategia della tensione e della confusione terroristi­ca sta impazzando (e impazzendo). E ci si comincia a interrogar­e sulla capacità di resistenza. Ovvero sul fino a quando riusciremo a scendere in piazza e a urlare ai quattro venti che andremo avanti come se nulla fosse, mentre la velenosa paura, declinata col nome di una nuova città ferita, non fa altro che mescolarsi a quella vecchia. Vecchia, cioè di ieri e dell’altro ieri. Strage dopo strage, fino alle radici dell’11 settembre che cambiò il nuovo secolo. Sappiamo benissimo come si viveva prima, ma non sappiamo come evolverà l’idra di un terrore astuto e con finalità geopolitic­he che muta ogni giorno e si fa sempre più capillare e spietato. La Spagna no, la Spagna sì; Barcellona no, Barcellona sì. Persino Berna stampa volantini e prepara pagine Facebook e tweet. Ma, se loro hanno deciso di rovinarci la bellezza del futuro, facendoci tremare davanti ad una valigia che sta per chiudersi ed un figlio che parte per formarsi, noi non dobbiamo giocare il loro gioco. Teniamolo quindi per noi quel sentimento che annienta, nascosto nel profondo del cuore, e, dopo le raccomanda­zioni pro forma, auguriamo a chi parte per studiare “Ciao, buon viaggio!”. È un viaggio per la vita. Guai a pensarlo di morte. Nel frattempo, ovviamente, che le autorità si attrezzino. Più intelligen­ce e nuove regole in un gioco fattosi durissimo, sono necessarie. Non dobbiamo essere ingenui! A dirla tutta, più di un dubbio sull’efficacia delle nostre leggi (anche recenti) ci è venuto venerdì, seguendo il processo al Tribunale federale che ha visto imputato l’agente di sicurezza alla Argo 1, condannato a due anni e mezzo (in parte sospesi) per propaganda in favore dei jihadisti di Al-Nusra e sostegno ‘logistico’ a due aspiranti combattent­i dell’Isis. Agente condannato… e libero a giorni! Ma, come assicura il consiglier­e nazionale Merlini (cfr. servizio a pag. 3), a Berna ci si sta già muovendo nella direzione dell’inasprimen­to delle pene. Mentre i nostri ragazzi fanno le valigie, di tempo da perdere proprio non ce n’è.

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