Non mi cedi? Allora non gioco
Siamo d’accordo, il calcio non è più quello di una volta. Una banalità, forse, alla luce della deriva presa da una disciplina retta da logiche mercantili che con lo sport fine a se stesso hanno una convivenza complicata. Il rapporto è inscindibile, ma tormentato. Vabbè, ad alcune cose avevamo ormai fatto il callo. Tanto valeva arrendersi all’evidenza, e incassare: non ci sono più le bandiere, sono venuti meno valori antichi quali l’attaccamento alla maglia, la riconoscenza. E ancora: si gioca per soldi, spudoratamente. Si bacia la maglia esibendo il proprio falso amore davanti a tifosi adoranti e creduloni, poi la si ripone nel cassetto per indossarne un’altra, poco importa quale. Di solito, quella di un club che ti paga più di quello precedente. Niente di nuovo, vero? Attuale. Attualissimo. Benvenuti nella realtà. Romantici e nostalgici astenersi. O mettetevi il cuore in pace. Del resto, una volta le scarpette non erano forse nere? Oggi se non sono variopinte o personalizzate non sono al passo con i tempi. È una lotta a chi osa di più. E, in un secondo tempo, a chi ne vende di più. Specchio dei tempi. Anche le giacchette degli arbitri erano nere. Oggi rivederli in nero fa effetto. Esaurito l’effetto cromatico delle tinte fluorescenti, si torna all’antico. Lo fa anche la moda. Torneranno anche basette e pantaloni a zampa, si tratta solo di pazientare. Non lo può fare il mondo del pallone? È l’unica concessione al passato che il calcio moderno può concedersi, quella del ritorno al nero del direttore di gara (figura anche fin troppo austera, a volte). Perché è folcloristica, secondaria, addirittura marginale, e in quanto tale non intacca aspetti che sono invece di primaria importanza, quelli legati alla ‘vil pecunia’, madre di tutte le transazioni. La deriva del calcio che ha riscritto le regole del mercato è inarrestabile. Indietro non si torna, inutile anche solo farsi illusioni. Se Neymar vale 222 milioni, presto potrebbero davvero investirne 300 per portare via Messi da Barcellona. Se al Milan viene concesso di condurre una campagna acquisti faraonica con prestiti che deve presto dimostrare di poter onorare, vale tutto, nonostante il presunto rigore imposto dal fair play finanziario voluto dall’Uefa. Vabbè, ce ne faremo una ragione. Ma non chiedeteci di accettare che calciatori lautamente pagati decidano di non presentarsi agli allenamenti, o puntino i piedi per essere ceduti, in barba a contratti ricchi e firmati. Passi per Neymar, i cinesi e gli sceicchi, ma il ricatto no. Eppure va di moda, e per lo più funziona. Non mi cedi? E io non mi presento e non gioco. La società si arrende (e incassa), il procuratore gongola e la ruota gira. E finché gira...