La schiavitù della memoria
Per un paio di settimane, nel bel mezzo della noia estiva, nella Svizzera tedesca è infiammato un dibattito. Il tema era Alfred Escher, figura politica di spicco dell’Ottocento svizzero, capitano d’industria, pioniere della ferrovia e fondatore del Politecnico federale e di quel che sarebbe poi diventato il Crédit Suisse. Tutto è iniziato con un articolo sul settimanale ‘Das Magazin’, in cui si raccontava come la famiglia Escher possedesse una piantagione con schiavi a Cuba. Nata per salvare dalla bancarotta i due fratelli di Alfred, è rimasta a lungo un segreto ben celato.
Segue dalla Prima Così tanto da poter causare problemi al Crédit Suisse: in molte città americane è infatti vietato fare affari con imprese che non ammettono pubblicamente di essere state coinvolte nel commercio di schiavi. Il polverone sollevato riguarda un brutto capitolo di storia elvetica e possibili conseguenze per la piazza finanziaria. Tuttavia in tutto questo c’è poco di nuovo: è infatti del 2004 un articolo della rivista ‘Bilanz’ che cita le ricerche compiute da un gruppo di storici nel corso del secolo scorso e che spiega come gli svizzeri, non diversamente dagli altri europei, siano stati attivi per ben due secoli nella tratta degli schiavi. Non solo furono coinvolti indirettamente come finanziatori, ma anche direttamente come commercianti e organizzatori di spedizioni navali su vascelli dai nomi evocatori quali Hélvetie o Pays de Vaud. Nel 1864, un anno prima dell’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, il Consiglio federale ancora sosteneva che in Brasile per i proprieta- ri elvetici di piantagioni gli schiavi fossero di importanza vitale. ‘Bilanz’ menzionava già il possibile coinvolgimento della famiglia Escher. A quanto pare certe storie, quando scomode, vengono scoperte e poi subito accantonate. Eppure la Svizzera, esattamente come tutti gli altri paesi occidentali, non è estranea a pagine poco cristalline: accumulare nelle banche oro nazista, spiare 900’000 persone durante la Guerra fredda, fare affari con il regime dell’Apartheid in Sudafrica negli anni ‘70 e ‘80. Il problema di fondo è che gli altri paesi, in un modo o nell’altro, hanno fatto i conti con il proprio passato. La Svizzera, dietro la maschera della neutralità, ha spesso la tendenza a minimizzare ciò che la riguarda. Non a caso a lungo gli eredi delle ricche famiglie coinvolte hanno taciuto, rendendo inaccessibili i loro archivi. Auguriamoci pertanto che questa faccenda non venga di nuovo “dimenticata” e che esca dai saggi di storia per entrare nella memoria collettiva. Nel frattempo il Crédit Suisse non dovrebbe preoccuparsi troppo: un ex dirigente della banca Barclays, Anthony Jenkins, ha previsto che al massimo entro 15 anni le banche tradizionali si estingueranno, vittime di app e start up. E a sviluppare una delle maggiori applicazioni di e-banking è stato proprio un ragazzotto nero americano, pronipote evidente di schiavi. Il mondo, manco a dirlo, evolve...