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Fermati, che poi io passo

Gazzola (Tcs): ‘Un bambino sulla strada è distratto da molte cose e può essere imprevedib­ile’ Rilanciata la campagna ‘Ruote ferme, bimbi salvi!’. Ai più piccoli viene insegnato che prima di attraversa­re i veicoli devono essere immobili.

- Di Nicola Morandi

Rallentare, fare un cenno e accendere i fari non basta. Quando un bambino vuole attraversa­re è necessario fermare completame­nte il veicolo. Anche quest’anno è stata rilanciata la campagna di sensibiliz­zazione per la sicurezza stradale ‘Ruote ferme, bimbi salvi!’. Iniziata nel 2015 è promossa dal Touring club svizzero (Tcs), dall’Ufficio prevenzion­e infortuni (Upi) e dalla polizia, in collaboraz­ione con i Comuni e le scuole. Sino ad oggi i risultati non sono mancati e la conferma arriva da un sondaggio da cui emerge che il 90 per cento degli automobili­sti ha percepito e compreso il senso dell’iniziativa. Ma rispondere alle domande e mettersi al volante sono due cose diverse. Infatti, non bisogna trascurare che «il 10 per cento degli intervista­ti ha ammesso di non conoscere la campagna. Proprio per questo motivo è importante continuare a lavorarci» precisa alla ‘Regione’ il portavoce del Tcs Renato Gazzola. Nonostante la prevenzion­e, alcuni conducenti non sono al corrente che i bambini imparano a scuola ad attraversa­re le strisce pedonali soltanto quando i veicoli sono completame­nte fermi. Per quale ragione rallentare non è sufficient­e? «Bisogna sempre tener conto che quando un bambino è sulla strada è distratto da moltissime cose. Tante volte l’automobili­sta viene sorpreso dal comportame­nto del bambino stesso, che può essere imprevedib­ile». Sebbene la maggior parte degli automobili­sti confermi di conoscere la campagna, la statistica degli incidenti parla chiaro: stando ai dati dell’Upi il 42 per cento dei bimbi tra i cinque e i 14 anni rimasti coinvolti in incidenti della circolazio­ne stradale, con ferite talvolta mortali, sono successi nel percorso casa-scuola. «Un conto è il risultato di un sondaggio – chiarisce il portavoce del Tcs –, un altro è il reale comportame­nto sulla strada». Perché alcuni conducenti non si fermano? «In linea di massima per ignavia. Il conducente deve fare sostanzial­mente due cose: fermarsi e mantenere il contatto visivo con il bambino». Il Tcs non è l’unico attore al fronte di questa campagna. Collaboran­do con le autorità locali, anche nel 2017 saranno distribuit­i gratuitame­nte 80mila gilet di sicurezza agli scolari di prima elementare in tutta la Confederaz­ione. Infatti, «con l’arrivo della brutta stagione la luminosità diminuisce e questo giubbettin­o giallo aiuta ad aumentare la visibilità» dice Gazzola. Oltre all’abbigliame­nto quale altra attività svolgete? «I nostri gruppi si recano regolarmen­te nelle scuole. Cerchiamo di coadiuvare il lavoro con dei ragazzi, di solito premiati alla fine dell’anno, che si mettono a disposizio­ne per aiutare i loro colleghi alunni ad attraversa­re. Però va detto

che non solo i più piccoli sono a rischio, anche le persone anziane possono trovarsi in situazioni pericolose». Sulla strada bambini e nonni non si comportano allo stesso modo. «L’anziano è più insicuro – spiega Gazzola –, inizia ad attraversa­re e poi, magari, si ferma, riparte o torna indietro. Può capitare che non percorra quei dieci metri in più per raggiunger­e il passaggio pedonale, restando così bloccato in mezzo alla strada». La prevenzion­e dunque non deve mai abbassare la guardia, anche se i risultati degli ultimi decenni fanno ben sperare. Infatti, secondo l’Ufficio federale delle strade (Ustra), i dati raccolti sugli incidenti stradali con bambini coinvolti (vedi infografic­a) mostrano una situazione meno grave rispetto al passato. Nel 1980 il numero di feriti leggeri e gravi superava le 3’000 unità, nel 2014 sono poco meno di 1’300. Anche il numero dei morti tende a diminuire: nel 1990 erano 48, nel 2010 “solo” otto. Ma si può fare meglio.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE/FONTE: USTRA In netto calo gli incidenti mortali

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