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La Sagrada Familia nel mirino

La basilica di Gaudí era uno degli obiettivi della ‘cellula’, poi costretta a ripiegare sulla Rambla Primi interrogat­ori dei quattro superstiti confermano le ipotesi. L’imam saltato in aria voleva farsi esplodere contro la famosa cattedrale di Barcellona

- di Francesco Cerri (Ansa)

Era il tempio icona di Antoni Gaudí visitato ogni giorno da migliaia di turisti, la Sagrada Familia, il primo obiettivo dei terroristi di Barcellona. Assieme ad altri monumenti simbolo della città. Dopo le indiscrezi­oni dei giorni scorsi, lo ha ammesso ieri davanti al giudice Mohamed Houli Chemlal, uno dei quattro marocchini detenuti dalla polizia spagnola che li ritiene gli unici sopravviss­uti della cellula di Ripoll. Gli altri otto sono tutti morti. Dopo gli interrogat­ori di ieri, il giudice del Tribunale nazionale Fernando Andreu ha confermato l’arresto di Driss Oukabir, Sahl El Karib (per 72 ore) e Mohamed Houli Chemlal. Chemlal ha risposto a tutte le domande, svelando i piani del gruppo jihadista. Ha confermato che l’imam di Ripoll, Abdelbaki Es Satty era il leader spirituale del gruppo e che il religioso voleva immolarsi nel grande attentato kamikaze che avevano pianificat­o. Ma poi nella notte di mercoledì, poche ore prima dell’attacco sulla Rambla, il covo di Alcanar è stato distrutto da un’esplosione, provocata da un errore nella manipolazi­one della ‘madre di Satana’, l’esplosivo artigianal­e dell’Isis che la banda doveva usare per imbottire, con anche 120 bombole di gas, tre furgoni da usare nel ‘grande attentato’. L’imam è stato polverizza­to, con un altro terrorista e Chemlal, che si trovava con loro, è stato raccolto fra le macerie gravemente ferito. E arrestato dopo gli attentati. I ‘baby terroristi’ si riunirono nella notte a Ripoll e, senza capo e senza esplosivi, deciso di attaccare comunque «alla disperata», secondo il capo della polizia catalana Josep Lluis Trapero, sulla Rambla e a Cambrils. Younes Abouyaaqou­b, 22 anni, abbattuto lunedì nei vigneti delle colline del Penedes a nord di Barcellona, si è lanciato con un furgone in mezzo alla folla sulla Rambla, altri cinque hanno attaccato a coltellate i passanti sul lungomare di Cambrils, subito abbattuti dalla polizia. Bilancio, 15 morti e 134 feriti.

Indagini in Europa e Marocco

Senza la provvidenz­iale esplosione del covo, se fosse stata davvero attaccata la Sagrada Familia, la strage sarebbe potuta essere molto più pesante. La distruzion­e anche parziale del monumento più famoso di Barcellona inoltre avrebbe avuto un impatto sconvolgen­te in tutto il mondo. Ora i 12 membri marocchini della cellula sono tutti morti o dietro le sbarre. Gli inquirenti cercano però di verificare se la ‘cellula dell’imam’ abbia avuto appoggi esterni. Sono state allertate le polizie europee e del Marocco. L’imam Es Satty nel 2016 è stato tre mesi a Vilvorde, vicino a Bruxelles, ritenuta una zona a forte penetrazio­ne jihadista. Altri quattro terroristi si sono fermati una notte a Parigi cinque giorni prima degli attentati, ma forse andavano in Belgio. Viaggiavan­o con l’Audi A3 usata per l’attacco a Cambrils, fotografat­a da un radar francese. Ci sono stati altri viaggi in Marocco e a Zurigo. Si cerca di capire se ci siano stati contatti con altri gruppi legati all’Isis. In Marocco sono state arrestate due persone, fra cui un cugino dei fratelli Oubakir: Moussa, morto, e Driss, arrestato. Crescono intanto in Spagna le critiche per le falle sulla sicurezza. Perché, innanzitut­to, la Rambla non era protetta da fioriere o barriere come raccomanda­to dal ministero degli Interni di Madrid? Il sindaco Ada Colau ha sostenuto che era competenza del governo, che l’ha smentita. Con lei se l’è presa don Santiago Martin, un parroco di Madrid, che durante la messa ha detto che «ha parte della colpa». Spopolando su media e social. Non si capisce poi perché nessuno abbia segnalato alla comunità islamica di Ripoll, e alla polizia catalana, che l’imam aveva scontato 4 anni per traffico di droga (appena uscito da un anno dal carcere, è stato assunto dalla moschea di Ripoll) e che il suo nome era entrato nel 2006 in un’inchiesta su una rete jihadista. «Non l’avremmo mai assunto», dicono ora i responsabi­li della moschea. Inoltre Es Satty avrebbe dovuto essere espulso uscendo di prigione, ma non lo fu. Tutti interrogat­ivi che per ora restano senza risposta.

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KEYSTONE I quattro superstiti della ‘cellula’ dell’imam di Ripoll
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