Amatrice, ricordo e frustrazione
È il giorno del silenzio, della preghiera, del ricordo. Ma per la gente che ha vissuto la tragedia sulla sua pelle è anche il momento di dire basta ai ritardi e alle burocrazie, offrendo presto una speranza concreta a chi vuole rimanere in quelle terre martoriate. Un anno fa una violenta scossa di terremoto sconquassò l’Italia centrale e ieri si sono tenute celebrazioni in tutti i comuni che hanno conosciuto la sofferenza di quelle ore, che hanno contato morti e feriti, e che ora chiedono una accelerazione nella ricostruzione. Sono i 249 rintocchi della campana di Amatrice, tanti quanti sono stati i morti, alle 3.41 di notte, ad aprire la giornata della memoria. Poi la messa, con tutte le autorità. Ma sono i vescovi a parlare. Anche con appelli forti alla politica. Il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, ha ricordato che «rinviare non paga mai. Neanche in politica, perché il tempo è una variabile decisiva» e che occorre «ricostruire senza usare le frasi fatte» e senza «eroi solitari». Da Ascoli il grido di monsignor Giovanni D’Ercole: serve uno «sforzo di speranza, anche se le difficoltà, gli ostacoli e gli intralci della burocrazia spietata tentano di spingere lo spirito a un realismo fatale che rasenta il fatalismo della disperazione». Poi l’appello: «Il futuro è nelle nostre mani, non in quelle dei politici, è nella forza di coesione, nel coraggio di superare differenze e rivalità». Anche ieri la terra ha continuato a tremare nelle stesse aree, ad Arquata del Tronto, Amatrice, Accumoli: magnitudo bassa, sotto 2.0, ma segno – dicono gli esperti – di uno sciame sismico non ancora concluso. E che rende qualsiasi progetto futuro difficile. ANSA