Etica d’altri tempi
Può lo stoicismo, nato oltre duemila anni fa, aiutarci ad affrontare le sfide contemporanee? A colloquio con Massimo Pigliucci, autore di ‘Come essere stoici’
Durante l’ellenismo fu una delle principali scuole filosofiche. Ma, benché abbia certamente influenzato molti pensatori successivi, lo stoicismo sembrava più che altro riguardare i libri di storia della filosofia, superato dall’evoluzione sociale e dal progresso scientifico. Non è così, e anzi molte persone stanno recuperando lo stoicismo che, nonostante siano passati oltre due millenni, può essere utile per “vivere bene”. Perché, durante l’ellenismo, era appunto questa la domanda fondamentale della filosofia: come condurre la propria vita. Una situazione diversa da quella attuale, dove la filosofia è un insieme di discipline specializzate. La prima domanda che poniamo a Massimo Pigliucci, autore di ‘ Come essere stoici’, da poco pubblicato da Garzanti, è proprio quale posto trova oggi l’etica stoica, visto che del ‘vivere bene’ si occupano altre discipline come la psicologia, la psicoterapia o la sociologia. «La filosofia accademica è sicuramente una disciplina specialistica, come la psicologia e la sociologia» spiega Pigliucci. «Penso quindi che filosofia, psicoterapia e psicologia siano complementari in questo senso, non rivali». In concreto, quindi, quando rivolgersi alla filosofia e quando, invece, alla psicologia? «Generalmente parlando direi che se si tratta di un problema diagnosticabile, come la depressione o un disturbo bipolare, allora decisamente ci si deve rivolgere prima a uno psicologo, o anche a uno psichiatra. Ma quando si tratta di problemi di senso della vita, incluso come gestire i propri rapporti e le proprie relazioni, se lasciare o no un lavoro o addirittura cambiare professione, allora la filosofia è più utile». Per gli aspetti centrali dell’etica stoica – come la distinzione tra quello che possiamo controllare e quello che invece sfugge al nostro dominio – rimandiamo al libro di Pigliucci. Quello che interessa evidenziare è che si tratta di un’etica pragmatica e moderata. Pragmatica perché i grandi temi vengono subito declinati in esempi pratici e tutto sommato realizzabili – almeno nella vita di tutti i giorni –; moderata perché al contrario di altre etiche secolari si apre a credenti e atei, crede nella scienza senza appiattirvisi, affronta il tema della morte ma senza aggrapparsi a speranze ultraterrene. Una caratteristica che ha subito convinto Pigliucci «stanco di inutili diatribe tra credenti e atei, quando è chiaro che tutti vorremmo adoperarci per sviluppare una società migliore, e che tutti vorremmo migliorarci come individui». Insomma, mettere da parte le divergenze metafisiche per concentrarsi «sulla cosa più importante nella vita: il miglioramento del nostro carattere, l’agire con saggezza, coraggio, giustizia e temperanza». Un altro precetto dello stoicismo è “vivere secondo natura”, il che ci porta a un possibile contrasto con il mondo scientifico, visto che il richiamo alla natura è considerato una fallacia. «Sì, è ovvio che una cosa non è buona solo perché è naturale. I funghi velenosi sono naturalissimi, ma non li aggiungerei alla mia pastasciutta». Gli stoici antichi, grandi conoscitori di logica, non erano tuttavia così ingenui: «Quello che intendevano con “vivi secondo natura” era di considerare le due caratteristiche fondamentali (secondo loro) della natura umana e comportarsi di conseguenza. Queste due caratteristiche sono che siamo una specie altamente socializzata, e che siamo capaci di ragionare per risolvere i nostri problemi. Mettendo le due cose assieme, come diceva Marco Aurelio, si giunge all’idea che dobbiamo applicare la ragione per migliorare la nostra società».