Sorvegliate speciali 12-15 frane
La situazione in Ticino dopo la tragedia in Bregaglia: intervista al geologo Stefano Daverio
Nell’arco alpino un centinaio di pareti a rischio monitorate costantemente con sensori e potenzialmente pericolose
L’alto Ticino, o altre regioni del cantone, potrebbero un giorno dover fare i conti con un evento tragico come quello verificatosi il 23 agosto in Val Bregaglia? Sono in molti a chiederselo e la risposta potrà darla un giorno solo il lento trascorrere delle ere geologiche. Intanto la Sezione forestale cantonale monitora sul terreno e con l’ausilio della tecnologia (elicottero, drone, strumenti informatici per il rilievo digitale e 3D del terreno, strumenti di misurazione, interferometria radar ecc.), le situazioni conosciute potenzialmente instabili. Complessivamente – spiega alla ‘Regione’ il geologo Stefano Daverio – si contano dai 12 ai 15 grandi dissesti che durante la storia si sono fatti conoscere. Questo o perché sovrastano degli abitati, o perché hanno già ‘sfogato’ nel passato (Sasso Rosso sopra Airolo nel 1898, Motto d’Arbino in Valle d’Arbedo nel 1928) o in quello più recente (Val Canaria, laterale della Leventina, ad Airolo nel 2009, Valegiòn sopra Preonzo nel 2012). In taluni casi presentano spostamenti continui. Alcuni mostrano il carattere di crollo, altri di scivolamento solo di pochi millimetri o centimetri all’anno, ma che in caso di crollo possono incidere sul corso del fiume sottostante. Fra le concause indicate dalle autorità retiche e federali dopo la colata scesa settimana scorsa su Bondo, vi sono anche i cambiamenti climatici, con conseguente scioglimento del permafrost che può modificare la dinamica di alcuni versanti rendendoli instabili; in aggiunta l’acqua penetra nei crepacci prima nascosti e d’inverno ghiacciando genera nuove potenti pressioni sotterranee. L’adozione di misure come la predisposizione di sistemi di allerta o la realizzazione di strutture di protezione contribuisce quindi a difendere l’uomo e lo spazio abitativo, ha sottolineato ieri il direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente, Marc Chardonnens, durante una conferenza stampa a Berna. Il Cantone Ticino – specifica dal canto suo il geologo Daverio – monitora le frane a rischio indipendentemente dalla riduzione del permafrost, che peraltro si manifesta solo alle quote superiori, mentre la maggior parte delle pareti tenute sotto stretta sorveglianza si situa più in basso. A titolo di esempio, noti e da lungo tempo tenuti sott’occhio con verifiche frequenti sono gli smottamenti di Cerentino sopra il quale è situato il paese (qui le sonde sono attive in modo continuato, come pure al Sasso Rosso di Airolo), nonché Campo Vallemaggia, Peccia e anche la sponda destra della Val Colla (qui i nuclei abitati sono tutti controllati, sebbene non in modo continuo). Per il Valegiòn – sottolinea infine Stefano Daverio – si è optato per un sistema di monitoraggio ridondante e continuato che consente un doppio riscontro sul posto e da valle, per registrare eventuali movimenti anticipatori di un nuovo collasso improvviso. Fra quiescenti, attive, debolmente attive e sorvegliate speciali, le frane in Ticino richiedono dunque un lavoro costante. D’altronde nei secoli gli episodi eclatanti non sono certo mancati, a cominciare dalla Buzza di Biasca (1515).