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Dove sta Ivan Il’ic?

È dedicata all’Aldilà la dodicesima edizione di Babel, il festival di letteratur­a e traduzione che inizierà il 14 settembre a Bellinzona. Tra gli ospiti, l’autrice portoghese Susana Moreira Marques che, mischiando poesia e giornalism­o, racconta la lenta m

- Di Susana Moreira Marques traduzione di Marta Silvetti

Sul comodino, un orologio segna l’ora delle cure. Nessuno sembra notare l’ironia di un orologio al capezzale di un moribondo.

Nel paese in cui è emigrata si dice che le persone volano in cielo. A casa sua, da piccola, sentiva dire: è morto, e non torna più. Preferisce andare a morire a casa sua.

L’Uomo ha le mani sporche di sangue, ma Dio di più. L’Uomo ha i morti nella memoria, ma anche Dio. L’uomo ha gli incubi di notte, ma Dio non dorme.

La paura negli occhi dell’uomo che non vuole camminare. Ha paura di cadere. Ha paura di rimanere per terra e vedere dal basso sugli scaffali alti i libri che non può più leggere; o in cortile, sdraiato sulla terra fredda, vedere la cima degli alberi da frutto e gli uccelli avanzare, avvicinand­osi ai suoi occhi. Pensa che la moglie non riuscirà ad alzarlo. Pensa che dovrà chiamare qualcuno, e altri lo vedranno per terra e lo alzeranno, puliranno la cacca degli uccelli o, nel caso si trovi dentro casa, lo trascinera­nno sul divano che in fondo è così vicino. Trema ancora di più quando ci pensa. Smetterà di parlare per non tremare di più. Smetterà di pensare per non tremare di più. Poi si dimentiche­rà la parola Parkinson.

… prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

Il bambino va in bicicletta su una strada senza macchine, che gli sembra lunghissim­a. Alla fine della strada, un’altra strada, e poi il campo, ossia, il mondo con il possibile e l’impossibil­e. Tra molti anni, quando tornerà al suo paese, se ancora ci sarà un paese, vedrà come in fondo era corta quella strada e il campo, poco più grande di un bel cortile. È possibile che tra molti anni non vedrà nessun bambino rendere grande quel mondo; e che si sentirà parte di una specie in via d’estinzione.

Adesso e nell’ora della nostra morte.

Nell’ultima settimana, ha cominciato a pensare tutte le notti che sarebbe stata l’ultima notte; che non avrebbe più visto il marito respirare il giorno seguente. Alla fine di certe giornate, era così esausta che ha cominciato a desiderare che accadesse rapidament­e, e subito dopo si era sentita in colpa, e aveva pianto perché lui non aveva mangiato lo yogurt a colazione.

Adesso.

Le ultime note che scrivo sono su un uomo che canta per la moglie. Ha imparato di nuovo a suonare la chitarra dopo che lei si è ammalata di leucemia. Quando la moglie tornò a casa dall’ospedale l’anno prima, M. pensò che sarebbe morta di lì a poco. Ma una volta a casa migliorò e i due iniziarono una seconda vita insieme. Tutti mi vogliono io voglio qualcuno / voglio il mio amore / non voglio nessun altro (versi della canzone folklorist­ica portoghese ‘Todos me querem’, ndr). Lui suonava e cantava, e lei, seduta sulla poltrona in salotto, batteva il piede, e canticchia­va, perché nonostante i vuoti di memoria, ancora ricordava le melodie. Quando lui andava a suonare alla radio locale, le dedicava le canzoni. Non avevano avuto figli. Quando si sposarono lei già non era più in età per fare figli. Dato che lui era molto più giovane, aveva sempre saputo che un giorno si sarebbe occupato di lei ma forse non aveva immaginato che sarebbe stato così difficile. Lei non ha più nessuno. In queste ultime note, M. non suona la chitarra perché è debilitato in seguito a un’operazione alla colonna. Adesso vive perennemen­te nella paura che gli succeda qualcosa e che lei rimanga sola. Ma non dice nulla di questo. Dice che ha promesso cento euro alla Madonna – l’ha vista sulla porta della sala operatoria –, e l’operazione è andata bene e tutto tornerà a essere il più normale, il più vivo possibile, e il più musicale. Per evitare di parlare, M. fa risuonare la sua voce in una cassetta, in un vecchio registrato­re portatile.

E anche se le parole sopravvive­ssero, per quanto sono vecchie, sarebbero incomprens­ibili.

La ragazza impiega molto tempo a scendere le scale, le gambe come quelle di una bambola di pezza, una mano ferma davanti al petto. Impiega del tempo a uscire di casa e a sedersi sulla panchina lì fuori, al sole, con le vecchie.

Manuale di sopravvive­nza: 5 – Seguire i circoli delle aquile e immaginare i nidi.

Dove sta Ivan Il’ic? Dove sta l’agonia, come ha scritto Lev Tolstoj? Dove stanno gli uomini che si guardano indietro, verso il momento in cui si sono fatti uomini? Dove sta il pentimento e il perdono? E la soddisfazi­one, se c’è stata, degli anni felici? I malati soffrono e sembrano non avere la forza di pensare, di porsi questioni morali – e neanche sembrano più preoccupar­si (sarà un segno dei nostri tempi?) del paradiso, dell’inferno, del giudizio finale. Vogliono solo un altro po’ di vita, vogliono un po’ più di tempo per credere che il corpo vince; tutti vogliono, con una forza sproporzio­nata, forse delirante, rimanere con gli occhi aperti.

E poi, l’amore, il grande sopravviss­uto al disastro.

Se tornerò, se busserò di nuovo alla porta, e poi di nuovo e di nuovo ancora, se avrò tempo, tempo senza fretta, omettendo il fatto che sono nata in città, se sapessi ascoltare meglio, con ogni parola che si sente coccolata e compresa, se sapessi cosa fare con le mani e non scrivessi note, le persone aprirebber­o e mi direbbero a cosa pensano veramente nelle lente e solitarie ore della notte?

E infine, le mani che scrivono contro le immagini accumulate.

Erba della dimensione di un bambino che danza sul ciglio della strada. All’orizzonte i monti che si uniscono come degli amanti. Tutto questo in viola intenso nei secondi successivi al calare del sole.

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‘Nell’ultima settimana, ha cominciato a pensare tutte le notti che sarebbe stata l’ultima notte’

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