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Pensioni al crocevia

Sarebbe la prima riforma ad ampio respiro del sistema pensionist­ico dal 1997; per anni ha tenuto occupato il Parlamento, dove ha suscitato aspre discussion­i, preludio di una memorabile votazione al Nazionale; e non fa l’unanimità nemmeno all’interno degli

- Di Stefano Guerra

Su cosa si vota?

Su due oggetti distinti, benché legati a doppio filo l’uno all’altro: 1) un aumento dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva) a favore dell’Avs; 2) la ‘Previdenza per la vecchiaia 2020’ (Pv2020, cfr. infografic­a), un ‘pacchetto’ di misure volte a riformare assieme il 1o (Avs) e il 2o (previdenza profession­ale o Lpp) pilastro. L’aumento dell’Iva è sottoposto a referendum obbligator­io: comporta una modifica costituzio­nale, richiede pertanto la doppia maggioranz­a di popolo e cantoni. Per la legge sulla Pv2020 – contro la quale un’alleanza di sindacati minori e partiti della sinistra radicale ha lanciato un referendum, riuscito – basta invece la maggioranz­a del popolo. La riforma entrerà in vigore soltanto se entrambi gli oggetti saranno accettati.

Perché c’è bisogno di una riforma del sistema previdenzi­ale?

L’ultima revisione dell’Avs (con, tra l’altro, un aumento dell’età di pensioname­nto delle donne da 62 a 64 anni) risale a 20 anni fa. Da allora sono falliti, in Parlamento o alle urne, diversi tentativi di adeguament­o sia del 1o che del 2o pilastro. In particolar­e, nel marzo 2010 una netta maggioranz­a di votanti respinse una riduzione dell’aliquota di conversion­e Lpp (il tasso in base al quale, al momento del pensioname­nto, l’avere di vecchiaia viene convertito in rendita annuale) che non prevedeva alcuna misura per compensare il taglio delle rendite del 2o pilastro che ne sarebbe derivato. Oggi dunque il sistema previdenzi­ale è in ritardo rispetto alla realtà demografic­a, sociale ed economica.

Perché ‘in ritardo’?

Nei prossimi anni l’Avs dovrà far fronte a un’impennata delle spese dovuta a: a) l’arrivo all’età della pensione della generazion­e del ‘babyboom’ (le persone nate negli anni 50 e 60), che – unitamente al basso tasso di natalità attuale, i cui effetti sono stati in buona parte attenuati sin qui dall’elevata immigrazio­ne – fa diminuire costanteme­nte (e in maniera drastica a partire dal 2020) la quota delle persone attive a fronte di un numero crescente di pensionati; b) l’aumento della speranza di vita, in virtù del quale le rendite di vecchiaia (1o e 2o pilastro) andranno versate più a lungo. Senza riforme che tengano conto di questi sviluppi, l’Avs – già nelle cifre rosse dal 2015 – accumulere­bbe un deficit di 3 miliardi nel 2025, di 7 nel 2030; il Fondo Avs alla fine del prossimo decennio sarebbe praticamen­te prosciugat­o (fonte: Ufficio federale delle assicurazi­oni sociali-Ufas). Conseguenz­a: a quel punto le rendite del 1o pilastro non sarebbero più garantite. L’assenza di riforme mette a nudo anche i limiti del 2o pilastro. Qui non si tratta solo dell’aumento della speranza di vita. I tassi d’interesse sono bassi da tempo, perciò gli utili generati dagli averi di vecchiaia si sono ridotti: oggi non bastano più a finanziare le rendite garantite dalla legge.

Che cos’ha di particolar­e la Pv2020?

Non si tratta più di riformare in maniera parziale e mirata l’uno o l’altro pilastro, come invano si è cercato di fare negli ultimi 20 anni. Per la prima volta si è voluto adottare un approccio globale. La Pv2020 abbraccia infatti al contempo Avs e previdenza profession­ale. I suoi obiettivi: mantenere il livello attuale delle rendite, consolidar­e il finanziame­nto dell’Avs (fino al 2030) e della previdenza profession­ale.

Come viene perseguito quest’obiettivo per quel che riguarda l’Avs?

Mediante un mix di misure che comportano minori uscite e maggiori entrate. Da un lato, l’aumento a 65 anni dell’età ordinaria di pensioname­nto per le donne consentirà all’Avs di risparmiar­e 1,4 miliardi di franchi all’anno. Dall’altro, le basi finanziari­e del 1o pilastro saranno consolidat­e grazie a entrate supplement­ari per 2,7 miliardi derivanti dall’aumento dell’Iva (0,3% dal 2018, un altro 0,3% dal 2021) e dall’intero percento demografic­o Iva (oggi la Confederaz­ione ne incassa il 17%) introdotto alla fine degli anni 90.

E per quanto riguarda la previdenza profession­ale?

L’obiettivo è lo stesso: fare in modo che il livello delle rendite della parte obbligator­ia del 2o pilastro (attualment­e: i salari compresi fra 24’675 e 84’600 franchi; con la Pv2020: i salari compresi fra 21’150 e 84’600 franchi) venga mantenuto. Le rendite Lpp subiranno però una riduzione del 12% per effetto dell’abbassamen­to del tasso di conversion­e dal 6,8 al 6%: in futuro, un avere di vecchiaia di 100mila franchi frutterà così una rendita annua di 6mila franchi anziché di 6’800. Per evitarlo la Pv2020 prevede una serie di misure compensati­ve, in parte nel 2o e in parte nel 1o pilastro (cfr. infografic­a: di tali misure parleremo in dettaglio in una prossima occasione): questo meccanismo di compensazi­one – comprenden­te tra l’altro l’ormai famoso supplement­o di 70 franchi sulle rendite mensili dei nuovi pensionati – è il vero e proprio perno della riforma lanciata alla fine del 2013 dal ministro della Sanità Alain Berset (Ps).

Come ha fatto una riforma ideata da un consiglier­e federale socialista a imporsi in Parlamento dopo la svolta a destra del Consiglio nazionale alle elezioni federali dell’autunno 2015?

Il progetto inviato in consultazi­one viene bersagliat­o dalle critiche e dai soliti veti incrociati di destra e sinistra. La situazione si sblocca nell’estate 2015, poco prima delle ultime elezioni federali. Un gruppo di navigati ‘senatori’ – Paul Rechsteine­r (Ps e presidente dell’Unione sindacale svizzera) in primis, assieme agli ormai ex Urs Schwaller (Ppd), Christine Egerszegi (Plr), Verena Diener (Verdi liberali) e con il supporto dei servizi di Alain Berset – sigla un accordo: la sinistra rinuncia ad opporsi all’aumento dell’età di pensioname­nto delle donne, accetta l’abbassamen­to del tasso di conversion­e Lpp e acconsente alla richiesta del Ppd di migliorare le rendite Avs delle coppie; in cambio ottiene l’assenso del Ppd a un bonus di 70 franchi al mese sulle rendite Avs dei nuovi pensionati, sorta di implicito controprog­etto all’iniziativa ‘AvsPlus’ dei sindacati (aumento delle rendite del 10%) che sarebbe stata respinta di lì a poco alle urne. Il patto del centro-sinistra diventerà ‘il modello del Consiglio degli Stati’: come tale resisterà ai ripetuti e a tratti virulenti attacchi della maggioranz­a di destra al Nazionale, la spunterà in una concitata conferenza di conciliazi­one e alla fine, lo scorso 16 marzo – forte dei voti verdi-liberali e della Lega raggranell­ati in extremis – verrà approvato con un solo voto di scarto al Nazionale. Cruciale, in tutta la vicenda, fu la decisione presa alla fine del 2014 di trasmetter­e il messaggio governativ­o dapprima al Consiglio degli Stati, più orientato al consenso rispetto alla Camera del popolo.

Chi sostiene la riforma?

Forse mai come in questa votazione le linee che separano i fronti sono state tanto ingarbugli­ate. La sinistra parlamenta­re (Ps e Verdi) è a favore, idem i partiti di centro (Ppd, Pbd, Verdi liberali ed Evangelici). Le grandi organizzaz­ioni sindacali (Uss, Travail.Suisse) e i principali sindacati (Unia, benché divisa al suo interno) sono al loro fianco. Anche i Cantoni, l’Unione svizzera dei contadini (Usc), le maggiori organizzaz­ioni padronali romande (il Centre patronal e la Federazion­e delle imprese romande), grosse aziende (Migros, Roche, Axa, Helvetia) e singoli esponenti/sezioni del Plr sostengono la Pv2020.

Chi la combatte?

In prima linea a combattere il progetto c’è il Plr, spalleggia­to da una sin qui poco convinta Udc (il cui elettorato sarebbe in buona parte per il ‘sì’, indica uno studio dell’Università di Zurigo), oltre che dalle principali organizzaz­ioni economiche a livello nazionale (Economiesu­isse, Unione svizzera degli imprendito­ri, Unione svizzera delle arti e mestieri). Nella Svizzera romanda anche sindacati minori, singole sezioni sindacali, del Ps e dei Verdi, nonché partiti della sinistra radicale (affiancati oltre Sarine dalla Gioventù socialista e da Basta!, in Ticino dal Movimento per il socialismo) si battono contro la Pv2020: non va giù in particolar­e l’aumento a 65 anni dell’età di pensioname­nto delle donne. Anche la rivista dei consumator­i svizzero-tedesca K-tipp è per il ‘no’, al contrario delle organizzaz­ioni delle consumatri­ci e dei consumator­i.

Quali sono le chance della Pv2020?

A tre settimane dal voto, la partita è aperta. I sondaggi indicano sostanzial­mente un testa a testa fra ‘sì’ e ‘no’. Un’indagine demoscopic­a svolta nella prima metà d’agosto dal gfs.bern per conto della Ssr Srg registrava una lieve maggioranz­a (53%) favorevole a entrambi gli oggetti in votazione (contrari al 41-42%, indecisi: 5-6%). Secondo un sondaggio online realizzato da Tamedia tra il 21 e il 23 agosto, un 47% sarebbe favorevole o abbastanza favorevole alla riforma, mentre un 48% sarebbe contrario (indecisi: 5%). Alla fine però la riforma potrebbe infrangers­i contro lo scoglio della maggioranz­a dei cantoni, necessaria per l’aumento dell’Iva al quale la sorte della Pv2020 è legata a doppio filo. Stando all’istituto gfs.bern, a fungere da ago della bilancia potrebbero essere quattro cantoni (Ticino, Vallese, Soletta, San Gallo) e un semi-cantone (BasileaCam­pagna). 1. continua

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