Pensioni al crocevia
Sarebbe la prima riforma ad ampio respiro del sistema pensionistico dal 1997; per anni ha tenuto occupato il Parlamento, dove ha suscitato aspre discussioni, preludio di una memorabile votazione al Nazionale; e non fa l’unanimità nemmeno all’interno degli
Su cosa si vota?
Su due oggetti distinti, benché legati a doppio filo l’uno all’altro: 1) un aumento dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva) a favore dell’Avs; 2) la ‘Previdenza per la vecchiaia 2020’ (Pv2020, cfr. infografica), un ‘pacchetto’ di misure volte a riformare assieme il 1o (Avs) e il 2o (previdenza professionale o Lpp) pilastro. L’aumento dell’Iva è sottoposto a referendum obbligatorio: comporta una modifica costituzionale, richiede pertanto la doppia maggioranza di popolo e cantoni. Per la legge sulla Pv2020 – contro la quale un’alleanza di sindacati minori e partiti della sinistra radicale ha lanciato un referendum, riuscito – basta invece la maggioranza del popolo. La riforma entrerà in vigore soltanto se entrambi gli oggetti saranno accettati.
Perché c’è bisogno di una riforma del sistema previdenziale?
L’ultima revisione dell’Avs (con, tra l’altro, un aumento dell’età di pensionamento delle donne da 62 a 64 anni) risale a 20 anni fa. Da allora sono falliti, in Parlamento o alle urne, diversi tentativi di adeguamento sia del 1o che del 2o pilastro. In particolare, nel marzo 2010 una netta maggioranza di votanti respinse una riduzione dell’aliquota di conversione Lpp (il tasso in base al quale, al momento del pensionamento, l’avere di vecchiaia viene convertito in rendita annuale) che non prevedeva alcuna misura per compensare il taglio delle rendite del 2o pilastro che ne sarebbe derivato. Oggi dunque il sistema previdenziale è in ritardo rispetto alla realtà demografica, sociale ed economica.
Perché ‘in ritardo’?
Nei prossimi anni l’Avs dovrà far fronte a un’impennata delle spese dovuta a: a) l’arrivo all’età della pensione della generazione del ‘babyboom’ (le persone nate negli anni 50 e 60), che – unitamente al basso tasso di natalità attuale, i cui effetti sono stati in buona parte attenuati sin qui dall’elevata immigrazione – fa diminuire costantemente (e in maniera drastica a partire dal 2020) la quota delle persone attive a fronte di un numero crescente di pensionati; b) l’aumento della speranza di vita, in virtù del quale le rendite di vecchiaia (1o e 2o pilastro) andranno versate più a lungo. Senza riforme che tengano conto di questi sviluppi, l’Avs – già nelle cifre rosse dal 2015 – accumulerebbe un deficit di 3 miliardi nel 2025, di 7 nel 2030; il Fondo Avs alla fine del prossimo decennio sarebbe praticamente prosciugato (fonte: Ufficio federale delle assicurazioni sociali-Ufas). Conseguenza: a quel punto le rendite del 1o pilastro non sarebbero più garantite. L’assenza di riforme mette a nudo anche i limiti del 2o pilastro. Qui non si tratta solo dell’aumento della speranza di vita. I tassi d’interesse sono bassi da tempo, perciò gli utili generati dagli averi di vecchiaia si sono ridotti: oggi non bastano più a finanziare le rendite garantite dalla legge.
Che cos’ha di particolare la Pv2020?
Non si tratta più di riformare in maniera parziale e mirata l’uno o l’altro pilastro, come invano si è cercato di fare negli ultimi 20 anni. Per la prima volta si è voluto adottare un approccio globale. La Pv2020 abbraccia infatti al contempo Avs e previdenza professionale. I suoi obiettivi: mantenere il livello attuale delle rendite, consolidare il finanziamento dell’Avs (fino al 2030) e della previdenza professionale.
Come viene perseguito quest’obiettivo per quel che riguarda l’Avs?
Mediante un mix di misure che comportano minori uscite e maggiori entrate. Da un lato, l’aumento a 65 anni dell’età ordinaria di pensionamento per le donne consentirà all’Avs di risparmiare 1,4 miliardi di franchi all’anno. Dall’altro, le basi finanziarie del 1o pilastro saranno consolidate grazie a entrate supplementari per 2,7 miliardi derivanti dall’aumento dell’Iva (0,3% dal 2018, un altro 0,3% dal 2021) e dall’intero percento demografico Iva (oggi la Confederazione ne incassa il 17%) introdotto alla fine degli anni 90.
E per quanto riguarda la previdenza professionale?
L’obiettivo è lo stesso: fare in modo che il livello delle rendite della parte obbligatoria del 2o pilastro (attualmente: i salari compresi fra 24’675 e 84’600 franchi; con la Pv2020: i salari compresi fra 21’150 e 84’600 franchi) venga mantenuto. Le rendite Lpp subiranno però una riduzione del 12% per effetto dell’abbassamento del tasso di conversione dal 6,8 al 6%: in futuro, un avere di vecchiaia di 100mila franchi frutterà così una rendita annua di 6mila franchi anziché di 6’800. Per evitarlo la Pv2020 prevede una serie di misure compensative, in parte nel 2o e in parte nel 1o pilastro (cfr. infografica: di tali misure parleremo in dettaglio in una prossima occasione): questo meccanismo di compensazione – comprendente tra l’altro l’ormai famoso supplemento di 70 franchi sulle rendite mensili dei nuovi pensionati – è il vero e proprio perno della riforma lanciata alla fine del 2013 dal ministro della Sanità Alain Berset (Ps).
Come ha fatto una riforma ideata da un consigliere federale socialista a imporsi in Parlamento dopo la svolta a destra del Consiglio nazionale alle elezioni federali dell’autunno 2015?
Il progetto inviato in consultazione viene bersagliato dalle critiche e dai soliti veti incrociati di destra e sinistra. La situazione si sblocca nell’estate 2015, poco prima delle ultime elezioni federali. Un gruppo di navigati ‘senatori’ – Paul Rechsteiner (Ps e presidente dell’Unione sindacale svizzera) in primis, assieme agli ormai ex Urs Schwaller (Ppd), Christine Egerszegi (Plr), Verena Diener (Verdi liberali) e con il supporto dei servizi di Alain Berset – sigla un accordo: la sinistra rinuncia ad opporsi all’aumento dell’età di pensionamento delle donne, accetta l’abbassamento del tasso di conversione Lpp e acconsente alla richiesta del Ppd di migliorare le rendite Avs delle coppie; in cambio ottiene l’assenso del Ppd a un bonus di 70 franchi al mese sulle rendite Avs dei nuovi pensionati, sorta di implicito controprogetto all’iniziativa ‘AvsPlus’ dei sindacati (aumento delle rendite del 10%) che sarebbe stata respinta di lì a poco alle urne. Il patto del centro-sinistra diventerà ‘il modello del Consiglio degli Stati’: come tale resisterà ai ripetuti e a tratti virulenti attacchi della maggioranza di destra al Nazionale, la spunterà in una concitata conferenza di conciliazione e alla fine, lo scorso 16 marzo – forte dei voti verdi-liberali e della Lega raggranellati in extremis – verrà approvato con un solo voto di scarto al Nazionale. Cruciale, in tutta la vicenda, fu la decisione presa alla fine del 2014 di trasmettere il messaggio governativo dapprima al Consiglio degli Stati, più orientato al consenso rispetto alla Camera del popolo.
Chi sostiene la riforma?
Forse mai come in questa votazione le linee che separano i fronti sono state tanto ingarbugliate. La sinistra parlamentare (Ps e Verdi) è a favore, idem i partiti di centro (Ppd, Pbd, Verdi liberali ed Evangelici). Le grandi organizzazioni sindacali (Uss, Travail.Suisse) e i principali sindacati (Unia, benché divisa al suo interno) sono al loro fianco. Anche i Cantoni, l’Unione svizzera dei contadini (Usc), le maggiori organizzazioni padronali romande (il Centre patronal e la Federazione delle imprese romande), grosse aziende (Migros, Roche, Axa, Helvetia) e singoli esponenti/sezioni del Plr sostengono la Pv2020.
Chi la combatte?
In prima linea a combattere il progetto c’è il Plr, spalleggiato da una sin qui poco convinta Udc (il cui elettorato sarebbe in buona parte per il ‘sì’, indica uno studio dell’Università di Zurigo), oltre che dalle principali organizzazioni economiche a livello nazionale (Economiesuisse, Unione svizzera degli imprenditori, Unione svizzera delle arti e mestieri). Nella Svizzera romanda anche sindacati minori, singole sezioni sindacali, del Ps e dei Verdi, nonché partiti della sinistra radicale (affiancati oltre Sarine dalla Gioventù socialista e da Basta!, in Ticino dal Movimento per il socialismo) si battono contro la Pv2020: non va giù in particolare l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento delle donne. Anche la rivista dei consumatori svizzero-tedesca K-tipp è per il ‘no’, al contrario delle organizzazioni delle consumatrici e dei consumatori.
Quali sono le chance della Pv2020?
A tre settimane dal voto, la partita è aperta. I sondaggi indicano sostanzialmente un testa a testa fra ‘sì’ e ‘no’. Un’indagine demoscopica svolta nella prima metà d’agosto dal gfs.bern per conto della Ssr Srg registrava una lieve maggioranza (53%) favorevole a entrambi gli oggetti in votazione (contrari al 41-42%, indecisi: 5-6%). Secondo un sondaggio online realizzato da Tamedia tra il 21 e il 23 agosto, un 47% sarebbe favorevole o abbastanza favorevole alla riforma, mentre un 48% sarebbe contrario (indecisi: 5%). Alla fine però la riforma potrebbe infrangersi contro lo scoglio della maggioranza dei cantoni, necessaria per l’aumento dell’Iva al quale la sorte della Pv2020 è legata a doppio filo. Stando all’istituto gfs.bern, a fungere da ago della bilancia potrebbero essere quattro cantoni (Ticino, Vallese, Soletta, San Gallo) e un semi-cantone (BasileaCampagna). 1. continua