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Più frane? C’è chi dice no

Alcune abitazioni potranno essere visitate dai proprietar­i e la strada di Spino potrebbe ridiventar­e percorribi­le

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Il ritorno del sole ha permesso sabato la ripresa degli scavi nel bacino di ritenzione e il consolidam­ento e pulizia della vecchia strada di Spino sommersa giovedì dalla terza ondata di detriti. Strada che potrebbe venire riaperta forse domani riattivand­o il transito dei frontalier­i diretti in Bregaglia ed Engadina, oggi costretti ad affrontare i passi Spluga e Bernina sui quali è scesa venerdì la prima neve. Resterà invece chiusa ancora a lungo la strada cantonale, fortemente danneggiat­a, mentre nella notte su sabato è stato riaperto il tratto del Maloja bloccato il giorno precedente da una frana scesa prima di Casaccia. Sempre domani alcune abitazioni evacuate di Bondo potrebbero essere rese accessibil­i per qualche ora ai proprietar­i interessat­i a recuperare generi e materiale di prima necessità. Intanto il dibattito geologico si arricchisc­e di un nuovo capitolo. La presidente della Confederaz­ione e ministra dell’Ambiente e dei trasporti Doris Leuthard è stata imprecisa nel sostenere che gli eventi come quello di Bondo rappresent­ano una conseguenz­a dei cambiament­i climatici e che l’arco alpino dovrà fare i conti con altri eventi di questo tipo. Lo afferma un geologo, intervista­to ieri dal settimanal­e ‘Schweiz am Wochenende’, secondo cui i pericoli dovuti al surriscal- damento aumentano solo a quote elevate, mentre vicino alle zone abitate la roccia diventa addirittur­a più stabile. “Non sono d’accordo con l’asserzione di Doris Leuthard”, afferma Ueli Gruner, detentore della cattedra dei pericoli naturali all’Università di Berna, citato nell’articolo. Un’analisi dei dati dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe – spiega Gruner – mostra che nelle Alpi il crollo di una montagna avviene in media ogni cinque anni, e che un aumento della frequenza in seguito al riscaldame­nto climatico non è stato constatato. La riduzione del permafrost – aggiunge – può essere uno di diversi fenomeni all’origine di eventi come quello di Bondo, ma non può esserne la causa diretta. Nel caso specifico, ricordiamo, gli esperti hanno spiegato che la parete del Pizzo Cengalo staccatasi il 23 agosto era stata resa instabile dallo scioglimen­to di grandi quantità di ghiaccio situate in precedenza ai suoi piedi, ciò che ha modificato le forze e reso instabili 4 milioni di metri cubi di roccia, di cui 3 scesi fino a Bondo e l’ultimo attualment­e in movimento. Dal canto suo il professor Gruner evidenzia che nell’ultimo periodo caldo risalente a 6000-8000 anni fa “contrariam­ente a quelli più freddi non vi sono stati crolli di montagne”. Fuori discussion­e è il fatto che oltre i 2’500 metri, dove il permafrost si riduce, le frane di limitate dimensioni aumentano; invece nelle regioni abitate le temperatur­e più elevate avranno addirittur­a un effetto positivo, dal momento che la roccia si farà più stabile. ATS/RED

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KEYSTONE Ripreso il lavoro delle ruspe nel bacino di ritenzione

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