Civica e cultura
Sono contrario alla revisione di legge sull’insegnamento della civica con convinzione. Ho sempre considerato l’esercizio della cittadinanza fondamentale e nobile. Ritengo che la denigrazione di politica e politici, o anche solo il disinteresse per questa sfera della vita sociale, siano un serio problema, perché producono una politica peggiore, e che i giovani vadano preservati da questi atteggiamenti qualunquistici e resi consapevoli del valore della democrazia. Dunque, certo, la civica a scuola è necessaria: se ne fa già molta e bene, ma se ne può fare di più e meglio. Non, però, nel modo proposto (...)
Segue dalla Prima (…) dai fautori della revisione legislativa. Ecco le ragioni del mio dissenso.
Non separarla dalla storia
1) Il nuovo articolo di legge separa la civica dalla storia, cioè dalla cultura e dalla conoscenza. In qualità di insegnante di filosofia mi viene naturale rilevare come una questione assai affine a quella relativa al modo migliore di insegnare la civica sia addirittura fra le ragioni della nascita della filosofia. Mi riferisco alla domanda, rivolta spesso a Socrate dai suoi concittadini di Atene, se la virtù politica sia insegnabile e come lo si possa fare. Il tentativo di rispondere a tale difficilissimo quesito ha avviato una riflessione che rappresenta buona parte della prima stagione della filosofia. Non vi è stata una risposta univoca, ma una cosa sembrava chiara a tutti i grandi filosofi del tempo, a cominciare da Socrate: che virtù e conoscenza non potessero essere separate e che all’uomo e al cittadino occorresse una saggezza frutto di esercizio, studio, riflessione personale e dialogo razionale con gli altri. Non si deve separare la civica dalla storia proprio perché farlo significherebbe indebolire, se non recidere, il suo legame con la più ampia formazione intellettuale e culturale di un giovane e ridurla a un sapere nozionistico, intellettualmente povero e poco coinvolgente; significherebbe, cioè, rendere difficile per gli allievi capire il senso delle nostre istituzioni politiche, che tanto devono alle vicende storiche e culturali che le hanno generate; vorrebbe dire chiedere loro di memorizzare senza comprendere; forse di credere senza pensare. Ad esempio, come spiegare la differenza fra Municipio e Consiglio comunale, fra Consiglio di Stato e Gran Consiglio, Consiglio federale e Assemblea federale, senza chiarire l’origine e il senso del principio della divisione dei poteri? Un principio nient’affatto ovvio, a sua volta incomprensibile senza parlare di liberalismo e diritti umani. Solo in questo modo delle mere espressioni verbali diventano concetti, valori e realtà in carne ed ossa. In caso contrario, tutto si riduce a filastrocche studiate a memoria.
Un nuovo voto
2) Creare una materia separata vuol anche dire aggiungere un nuovo voto sulla pagella degli studenti e soprattutto nuove prove di valutazione al loro già carico percorso scolastico. Valutare e selezionare è giusto, anche nel caso di storia e civica, benché vada fatto, soprattutto nella scuola dell’obbligo, con grande senso di responsabilità. Ma pensare che un contenuto dell’insegnamento acquisti dignità e incisività solo se ad esso è associato un voto separato e ben visibile significa riconoscere che in sé quella disciplina, priva dello spauracchio della nota, non può godere di alcun rispetto agli occhi degli allievi. Che questo avvenga per una materia come la civica, che ha a che fare non solo con conoscenze astratte, ma anche con valori e comportamenti, è molto negativo; il civismo non si può insegnare con la minaccia della bocciatura. Insomma, se separare la civica dalla storia ne mina il valore conoscitivo, enfatizzare il ruolo della nota ne sminuisce quello etico. Il risultato è una materia ad un tempo poco istruttiva e poco educativa.
Pedagogia o ideologia?
3) Poiché è evidente che una civica così concepita sarebbe assai meno efficace di quella oggi insegnata nel contesto della storia, siamo autorizzati a presumere che almeno alcuni sostenitori dell’iniziativa siano in realtà mossi da considerazioni ideologiche e non pedagogiche. I toni e gli argomenti con cui stanno conducendo la campagna confermano ampiamente questa ipotesi. Attraverso la revisione legislativa e con l’auspicato plebiscito a suo favore essi vogliono creare le condizioni per fare della civica un’occasione di indottrinamento, di esaltazione sciovinistica dei “nostri valori” opposti a quelli degli altri, della “nostra” democrazia, quella vera, contrapposta all’altrui, che invece sarebbe taroccata, e della democrazia diretta contro quella rappresentativa. Chiamano “civica” questa ideologia e denigrano quelli che pubblicamente respingono, anche per coerenza con la loro deontologia professionale, una tale concezione dell’insegnamento, a cominciare dai docenti di storia, accusati di appartenere a una casta privilegiata, pigra e poco patriottica. Come già ai tempi di Socrate, ci sono sempre quelli che pretendono di essere più democratici di tutti, più vicini al popolo di chiunque altro, e che, dicendo di farlo per difendere popolo e democrazia, amano distribuire cocktail a base di velenosa cicuta.