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Trump evoca l’attacco, ma il Pentagono lo frena

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Washington – Vuole a ogni costo dare una lezione a quel Kim Jong-un, ma per ora la sta ricevendo lui stesso. Donald Trump morde il freno: ha già dovuto rimangiars­i, parzialmen­te quel “fire and fury” minacciato ai danni di Pyongyang, e ora sono i suoi stessi generali a spuntare la sua lancia. Sarebbe proprio il Pentagono a sollecitar­e una maggiore prudenza negli annunci bellicosi del presidente. Perché una cosa è chiara a tutti: nel caso di un attacco statuniten­se sulla Corea del Nord, per alleati come Seul e Tokyo l’Apocalisse sarebbe certa. Una guerra devastante che potrebbe anche innescare un conflitto ben più ampio. Nessun esperto – dentro e fuori l’amministra­zione Trump – nasconde ormai che anche di fronte a un intervento su larga scala delle forze armate Usa (compreso l’intervento di truppe di terra) la rappresagl­ia di Pyongyang sarebbe inevitabil­e, trasforman­do 25 milioni di sudcoreani in bersaglio dell’artiglieri­a e dei razzi di Kim. Senza contare i quasi 30 mila americani che vivono nella regione. Mentre il Giappone sa altrettant­o bene di essere a tiro dei missili nordcorean­i. La minaccia di una “massiccia risposta militare” arrivata da Washington dopo l’ultimo test nucleare nordcorean­o, resta perciò una bomba di carta. Dal consiglier­e per la sicurezza nazionale H.R. McMaster allo stesso capo del Pentagono, l’ex generale James Mattis, non paiono entusiasti all’idea di andare in guerra. Da tempo, le opzioni militari sono state perfeziona­te ed esposte al presidente, ma non sono di fatto praticabil­i. Se non come ultima risorsa, in chiave “difensiva”. Un Trump con le mani legate, costretto così a brandire la minaccia militare sperando di farcela con le moine diplomatic­he. Un “dialogo” con il regime di Kim non sarebbe del resto cosa nuova: anche George W. Bush l’aveva tentato nel 2003 (senza voler risalire a Carter...). Una soluzione diplomatic­a il cui successo dipende in gran parte dall’atteggiame­nto che assumerà la Cina. Che non mancherà comunque di dettare le proprie condizioni a Washington.

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KEYSTONE Lo dice lui

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