Guardie di confine sul piede di guerra
L’aumento da 60 a 65 anni per il loro pensionamento non piace alle Guardie di confine, per le quali la decisione del Consiglio federale “è una vergogna”. Nel corso di un’assemblea tenutasi ieri a Olten sotto gli auspici del sindacato Garanto e dell’associazione del personale Transfair, diversi impiegati della Confederazione tra i circa 120 presenti hanno espresso rabbia e frustrazione per una decisione giudicata incomprensibile. In una risoluzione inviata all’esecutivo si legge che non solo l’innalzamento dell’età pensionabile è inaccettabile, ma che tale passo non farà che peggiorare le condizioni di lavoro con rischi accresciuti per la sicurezza e la salute dei diretti interessati. Il lavoro quale guardia di confine è fisicamente e psicologicamente impegnativo. Orari di lavoro irregolari, turni notturni e durante il fine settimana rendono difficile recuperare dalle fatiche. La conseguenza di simili strapazzi sono spesso disturbi del sonno. Oltre a ciò, sottolinea la risoluzione, non di rado le guardie devono lavorare con ogni condizione climatica, ciò che conduce sovente ai limiti della resistenza fisica. Le mansioni richiedono maggiore impegno dovuto all’aumento dei migranti e del turismo degli acquisti. Il testo enumera anche l’assenza di cooperazione e l’aumento dell’aggressività, fino al contatto fisico, con gli utenti. Sul fronte delle azioni da intraprendere gli animi si sono divisi. Consci del fatto che le guardie di confine non possono né protestare né scioperare, la maggioranza si è decisa per misure ‘light’ volte a sensibilizzare la popolazione sulle condizioni del loro lavoro. Vi è chi ha proposto, specie rappresentanti della Svizzera romanda e del Ticino, azioni più incisive, come uno sciopero dello zelo. Ma di fronte alle colonne di veicoli che ciò causerebbe alle frontiere, e al conseguente malumore della popolazione, si è preferito optare per provvedimenti più leggeri. ATS