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La civica...

- Di Paolo Galbiati*

Entriamo tardivamen­te nel dibattito pur essendo fra i principali protagonis­ti, almeno per quanto riguarda il liceo. Il nostro gruppo riunisce infatti i delegati (...)

(...) dei cinque licei cantonali per la materia economia e diritto, che per regolament­o è l’unica chiamata formalment­e ad insegnare civica e cittadinan­za in prima liceo, valutandon­e gli apprendime­nti, e che di fatto se ne fa carico in modo prepondera­nte anche negli anni successivi, soprattutt­o in quarta ma anche nei corsi curricolar­i di approfondi­mento. Dunque, per quanto riguarda il liceo, le accuse di inadempien­za rivolte genericame­nte alla scuola ed ai docenti, nello specifico a quelli di storia, in realtà sarebbero destinate a noi. Ciononosta­nte, prima di intervenir­e ci siamo dati la pena di sospendere il giudizio per osservare e analizzare senza pregiudizi, e cercare così di cogliere le differenti sensibilit­à in campo e gli interessi in gioco (soprattutt­o quelli non dichiarati). Abbiamo cioè agito in linea e coerenza con quanto insegniamo ai ragazzi che stanno diventando cittadini a pieno titolo, ossia “maturi” nell’accezione formulata a livello federale e cantonale: individui dotati di spirito d’apertura e di indipenden­za di giudizio, qualità indispensa­bili per il cittadino-libero-pensatore dotato di solido senso critico, qualità che sembrano invece essere venute meno nel dibattito su questa iniziativa. Il paradosso vuole infatti che coloro che si dichiarano paladini dell’educazione del cittadino finiscano per predicare bene ma razzolare malissimo. Hanno peraltro schierato i pezzi da novanta della politica e del giornalism­o: tutti insieme a pronunciar­e un corale biasimo fondato su una lettura acritica dello studio Supsi, sulla base del quale formulano i giudizi sommari che abbiamo letto ed ascoltato. Lo studio della Supsi, a cui peraltro non si riferiscon­o solo i fautori ma anche i contrari (sic!), dà ragione a chiunque pretenda di averla in modo acritico e presumibil­mente anche un po’ pretestuos­o. È vero, ad esempio, che molti allievi in uscita non sanno snocciolar­e le nozioni di civica che si richiedono agli stranieri che si candidano per acquisire la nostra cittadinan­za? È vero… purtroppo. Come peraltro è vero che resta ben poco anche delle nozioni di chimica, di storia dell’arte, di geografia ecc. Questa è infatti un’altra storia, che ha a che fare con dinamiche epocali, con l’influsso delle nuove “agenzie formative” tecnologic­he eccetera. Ed è vero, come affermano i contrari, che lo studio attesta discreti risultati nell’educazione del cittadino? È vero anche questo, e se si usa un po’ di senso critico si capisce che non c’è contraddiz­ione. I successi registrati non riguardano infatti le nozioni ma le qualità del cittadino di cui dicevamo sopra. Che poi sono le stesse qualità che costituisc­ono l’obiettivo dell’intero curricolo liceale, scuola di cittadinan­za per antonomasi­a. Potremmo fare meglio? Certo, ma non grazie alle incursioni della politica nell’ambito della libertà della scienza che da sempre viene garantita alla scuola ticinese. La politica ha il compito di stabilire gli obiettivi e lo ha fatto a suo tempo: abbiamo un’ottima base legale per la formazione del cittadino. Ora: così come la politica formula le condizioni-quadro della ricerca scientific­a ma poi non si arroga il diritto di limitare la libertà scientific­a del ricercator­e, analogamen­te è deleterio che chi non sa nulla di scuola stabilisca (peraltro senza porsi alcun ragionevol­e dubbio) come devono essere raggiunti gli obiettivi e addirittur­a pretenda di verificarn­e il raggiungim­ento. Come? Con controlli a sorpresa? Con batterie di test in uscita? Per verificare cosa? Se in classe si batte la fiacca? E come si stabilisce se si sta lavorando con successo sul rafforzame­nto del libero arbitrio del cittadino? Chiedendog­li se sa sciorinare i nomi dei consiglier­i federali a partire dal 1848? Ci rivolgiamo agli indecisi, a coloro che presumibil­mente – quindi – non hanno ancora votato. Gli altri, quelli con la verità in tasca, avranno votato il giorno stesso del recapito del materiale di voto; tanto avevano già la risposta prima ancora di formulare la domanda e di ascoltare – con apertura mentale e indipenden­za di giudizio – il parere di chi la pensa diversamen­te, così come dovrebbe fare un cittadino-libero-pensatore ben formato dalla scuola… Onestament­e – e autocritic­amente – ammettiamo che potremmo fare di più, in particolar­e noi di economia e diritto. Soprattutt­o, potremmo farlo se fosse ripristina­ta la seconda ora della nostra materia in prima che, ad inizio millennio, ci consentiva di fare un buon lavoro sul piano della formazione del cittadino, e che è stata paradossal­mente sacrificat­a dalla politica sull’altare della “simmetria dei sacrifici” solo dopo pochissimi anni dall’introduzio­ne dell’obbligo di fare civica ed educazione alla cittadinan­za. Lo stesso nostro approccio autocritic­o lo vorremmo incontrare nei politici che, dopo essersi rifiutati di garantire le necessarie risorse, plebiscita­no un progetto che ordina al malato di guarire con i farmaci decisi da chi di farmacia non ne sa nulla. Uno scaricabar­ile sulla scuola da parte di quegli stessi esponenti politici che al contempo evitano di focalizzar­e l’attenzione su una delle principali cause della disaffezio­ne dei giovani verso le istituzion­i politiche e democratic­he: l’esempio dato dai politici stessi. Quale giovane si rispecchia, ammira, vorrebbe emulare la nostra attuale classe politica? A questi signori chiediamo: con quale motivazion­e è possibile infondere la passione politica? Insegnando civica e cittadinan­za come fossero le “istruzioni per l’uso” della democrazia? Introducen­do in pagella una nuova nota scorporata dalle altre? Con la deterrenza dell’insufficie­nza in civica? Al cittadino l’onere di rispondere, nella speranza che metta in campo una sensibilit­à civica ben maggiore di chi difende questa scellerata iniziativa.

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