Pv2020, dare e avere
La ‘Previdenza vecchiaia 2020’ mira a mantenere il livello delle rendite del 1o pilastro e della previdenza professionale obbligatoria, garantendo al contempo la stabilità finanziaria dell’intero sistema nel prossimo decennio. Ma la riforma si ripercuote in modo differenziato sulle varie categorie di assicurati: vediamo come.
Chi ci guadagna? E chi ci perde?
Impossibile rispondere tassativamente. Le misure della ‘Previdenza vecchiaia 2020’ (Pv2020) si ripercuotono in maniera differenziata sugli assicurati secondo età, salario e sesso. In generale, si può dire che la riforma comporta un lieve aumento delle rendite per buona parte degli assicurati. Esempi pubblicati dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas) mostrano però come determinate categorie di lavoratori dai 44 anni in giù, con salari elevati e soprattutto single, vadano incontro a una lieve riduzione delle rendite. Per i sindacalisti dissidenti e i piccoli partiti della sinistra che hanno lanciato il referendum, le donne – costrette a lavorare un anno in più – sono le grandi perdenti. Plr, Udc e parte delle organizzazioni economiche denunciano invece una rottura del patto generazionale a danno dei giovani. Tesi contestate dai sostenitori di una riforma che «chiede a tutti qualcosa, ma offre anche a tutti qualcosa: è un dare e avere» (Marianne Streiff-Feller, consigliera nazionale e presidente del Partito evangelico).
Le donne
I detrattori di sinistra fanno notare che, mentre l’età ordinaria di pensionamento delle donne corre verso l’alto, l’uguaglianza salariale arranca e le misure per meglio conciliare lavoro e famiglia si fanno attendere. L’aumento graduale a 65 anni, dal 2018, dell’età ordinaria di pensionamento delle donne è un boccone amaro per Ps, organizzazioni sindacali e femminili, che chiamano a votare un doppio ‘sì’. Lo ammette persino il ‘padre’ della riforma, il consigliere federale socialista Alain Berset. Si rimanda però alle misure ‘compensative’ previste. L’estensione della parte di salario assicurato garantisce una maggiore copertura nel 2o pilastro soprattutto a chi lavora a tempo parziale, percepisce salari modesti e accumula più impieghi. Si tratta in buona parte di donne: a trarre vantaggio da questa misura sarà un quarto delle lavoratrici, ovvero circa 500mila donne assicurate solo nell’Avs. Inoltre, per chi non dispone di un 2o pilastro e ha un reddito medio-basso, il bonus Avs di 840 franchi l’anno (massimo 2’712 per i coniugi) rappresenta un tangibile aiuto: consente in particolare alla metà circa delle lavoratrici di continuare a riscuotere la propria rendita Avs a 64 anni, senza che questa subisca riduzioni. Infine, le rendite per le vedove restano immutate.
I giovani (24-44 anni)
Per i detrattori nel campo borghese, i veri perdenti sono coloro che il 1° gennaio 2019 – quando entrerà in vigore l’aliquota di conversione ridotta al 6% – avranno 44 anni o meno (chi è nato nel 1974 o dopo). In effetti i ‘giovani’ subiscono in pieno la diminuzione del 12% delle rendite del 2o pilastro causata dalla riduzione del tasso di conversione. Vedranno i loro salari scendere, poiché saranno tenuti a pagare durante l’intera vita professionale – al pari dei loro datori di lavoro – qualcosa in più in contributi Avs (per finanziare il bonus di 70 franchi) e in accrediti di vecchiaia nel 2o pilastro. Sopporteranno infine (come tutti, del resto) il rincaro quotidiano derivante dall’aumento dell’Iva. Il tutto senza essere sicuri che, quando andranno in pensione, le loro rendite saranno garantite: siamo di fronte a “un’irresponsabile espansione dell’Avs” realizzata sulle spalle delle giovani generazioni e che ipoteca il loro futuro, affermano i contrari alla Pv2020. Il bonus Avs e l’aumento del capitale di vecchiaia accumulato nel 2o pilastro consentono comunque ai ‘giovani’ di non subire perdite di rendita (anzi, in molti casi persino di guadagnarci) una volta in pensione. Non a tutti, però. Ad esempio: gli assicurati che nel 2018 avranno un’età compresa fra i 40 e i 44 anni e un reddito elevato vanno incontro a riduzioni di rendita di poco superiori ai 100 franchi al mese, non completamente compensate dal bonus Avs di 70 franchi. Ma il discorso va oltre il portamonete. Alain Berset invita i giovani a votare sì: se prevale il ‘no’, “non potete essere sicuri di ricevere ancora una rendita Avs. Perché le casse, lentamente ma inesorabilmente, si svuoteranno”. Non solo. La Pv2020 è vista dai suoi sostenitori anche come un’occasione per limitare “un’ingiusta ridistribuzione occulta a spese degli assicurati attivi”, giovani compresi, nel 2o pilastro. Qui ognuno in linea di massima risparmia per sé; in realtà quel che succede è che ogni anno 1,3 miliardi sono ‘trasferiti’ dai giovani verso i pensionati (Berset: “il perfetto scandalo”; “questa è la vera ipoteca per i giovani”, rincara la consigliera nazionale socialista Jacqueline Badran), perché altrimenti le rendite di questi ultimi – con il tasso di conversione attuale – non potrebbero più essere finanziate. “Il peggiore scenario per i giovani è chiaramente lo statu quo”, dice il ministro della Sanità.
La ‘generazione di transizione’ (45-65 anni)
Vi appartengono coloro che il 1° gennaio 2019 avranno 45 anni o più (le persone nate nel 1973 o prima). Chi ne fa parte non riuscirebbe, nel periodo di attività professionale che lo separa dalla pensione, a compensare grazie a un aumento dei contributi versati la riduzione della rendita del 2o pilastro. La legge – mediante sussidi versati da un fondo di garanzia – assicura quindi agli ‘over 45’ che quest’ultima non scenderà (non è ancora chiaro se la garanzia varrà anche in caso di pensionamento anticipato). La ‘generazione di transizione’, inoltre, riceve il bonus Avs. Per gli oppositori alla Pv2020 si tratta di una sovracompensazione, di uno zuccherino distribuito ad innaffiatoio, anche a chi non ne ha bisogno (persino a chi dispone di una previdenza professionale che va oltre il regime obbligatorio, perché guadagna di più o perché la sua cassa pensione prevede prestazioni migliori: parliamo di oltre l’80% dei lavoratori). La replica dall’altro campo: anche chi fa parte della ‘generazione di transizione’, come tutti gli altri attivi, finanzia il supplemento Avs pagando maggiori contributi.
I pensionati
Per chi è già in pensione o andrà in pensione da qui al 1° gennaio 2019 non cambia quasi nulla. Sopporteranno sì, in quanto consumatori, un contenuto aumento dell’Iva a partire dal 2021. In cambio approfittano di un’Avs consolidata, che garantisce il livello delle loro rendite fino al 2030 e le adatta ogni due anni all’evoluzione dei salari e del rincaro. Per di più, le loro rendite Lpp non sono toccate dalla riduzione del tasso di conversione. È per questo che – a differenza di chi andrà in pensione dopo il 1° gennaio 2019 – non ricevono il bonus Avs, concepito appunto quale parziale compensazione per la riduzione del tasso di conversione, e finanziato da chi lavora attraverso contributi che dal 2021 aumenteranno lievemente (+0,3%, a 8,7%) per la prima volta da oltre 40 anni a questa parte. Nonostante ciò, gli oppositori alla riforma insistono: i 70 franchi mensili (226 per le coppie), appannaggio esclusivo dei futuri pensionati, creano di fatto un’Avs a due velocità, con due classi di assicurati.
Le coppie
Si può dire che sono loro i principali beneficiari della riforma. Ma anche qui bisogna distinguere. In base ai calcoli dell’Ufas, la maggior parte delle famiglie con due figli risulta avvantaggiata, chi più chi meno. Solo in pochi casi, nella fascia d’età compresa fra i 34 e i 44 anni e con redditi medioalti, risultano riduzioni delle rendite del 2° pilastro: la più marcata (108 franchi) riguarda le coppie di 44enni che guadagnano globalmente 14mila franchi al mese. Tuttavia, grazie al supplemento Avs di 226 franchi al mese, il livello delle rendite sarà mantenuto per tutte le coppie.
Cosa succede in caso di ‘no’?
Senza contromisure i deficit dell’Avs crescerebbero di anno in anno (3 miliardi nel 2025, 7 nel 2030) e i problemi delle casse pensioni rimarrebbero irrisolti, afferma il Consiglio federale. Meglio questa riforma piuttosto che nessuna riforma, gli fanno eco anche i sostenitori recalcitranti negli ambienti economici e persino nei partiti che combattono la riforma, Plr e Udc. Il Plr invece ha già pronto un piano B in caso di ‘no’: tre pacchetti da portare avanti separatamente, evitando di ‘mescolare’ 1° e 2° pilastro e riciclando le misure ‘compensative’ non sopravvissute ai dibattiti parlamentari sulla Pv2020 (misure che, rispetto a quest’ultima, penalizzerebbero maggiormente i giovani e i meno abbienti...). “Una migliore riforma potrebbe entrare in vigore al più tardi nel 2021”, stima la consigliera nazionale Regine Sauter. La previsione sembra irrealistica, vista la polarizzazione che si crea attorno a qualsiasi riforma del sistema pensionistico. Indipendentemente da come andrà il 24 settembre, il dibattito sul futuro del sistema pensionistico proseguirà. Anche nel Ppd, che sostiene la Pv2020, c’è chi vuole mettere subito sul tavolo la questione dell’aumento dell’età di pensionamento. E in Parlamento sono pendenti due mozioni: una chiede di ‘agganciare’ l’età di riferimento per il pensionamento alla speranza di vita, l’altra di depoliticizzare i tassi di conversione e d’interesse minimo nel 2° pilastro.
2. fine (prima parte: 4 settembre 2017)