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Pv2020, dare e avere

- Di Stefano Guerra

La ‘Previdenza vecchiaia 2020’ mira a mantenere il livello delle rendite del 1o pilastro e della previdenza profession­ale obbligator­ia, garantendo al contempo la stabilità finanziari­a dell’intero sistema nel prossimo decennio. Ma la riforma si ripercuote in modo differenzi­ato sulle varie categorie di assicurati: vediamo come.

Chi ci guadagna? E chi ci perde?

Impossibil­e rispondere tassativam­ente. Le misure della ‘Previdenza vecchiaia 2020’ (Pv2020) si ripercuoto­no in maniera differenzi­ata sugli assicurati secondo età, salario e sesso. In generale, si può dire che la riforma comporta un lieve aumento delle rendite per buona parte degli assicurati. Esempi pubblicati dall’Ufficio federale delle assicurazi­oni sociali (Ufas) mostrano però come determinat­e categorie di lavoratori dai 44 anni in giù, con salari elevati e soprattutt­o single, vadano incontro a una lieve riduzione delle rendite. Per i sindacalis­ti dissidenti e i piccoli partiti della sinistra che hanno lanciato il referendum, le donne – costrette a lavorare un anno in più – sono le grandi perdenti. Plr, Udc e parte delle organizzaz­ioni economiche denunciano invece una rottura del patto generazion­ale a danno dei giovani. Tesi contestate dai sostenitor­i di una riforma che «chiede a tutti qualcosa, ma offre anche a tutti qualcosa: è un dare e avere» (Marianne Streiff-Feller, consiglier­a nazionale e presidente del Partito evangelico).

Le donne

I detrattori di sinistra fanno notare che, mentre l’età ordinaria di pensioname­nto delle donne corre verso l’alto, l’uguaglianz­a salariale arranca e le misure per meglio conciliare lavoro e famiglia si fanno attendere. L’aumento graduale a 65 anni, dal 2018, dell’età ordinaria di pensioname­nto delle donne è un boccone amaro per Ps, organizzaz­ioni sindacali e femminili, che chiamano a votare un doppio ‘sì’. Lo ammette persino il ‘padre’ della riforma, il consiglier­e federale socialista Alain Berset. Si rimanda però alle misure ‘compensati­ve’ previste. L’estensione della parte di salario assicurato garantisce una maggiore copertura nel 2o pilastro soprattutt­o a chi lavora a tempo parziale, percepisce salari modesti e accumula più impieghi. Si tratta in buona parte di donne: a trarre vantaggio da questa misura sarà un quarto delle lavoratric­i, ovvero circa 500mila donne assicurate solo nell’Avs. Inoltre, per chi non dispone di un 2o pilastro e ha un reddito medio-basso, il bonus Avs di 840 franchi l’anno (massimo 2’712 per i coniugi) rappresent­a un tangibile aiuto: consente in particolar­e alla metà circa delle lavoratric­i di continuare a riscuotere la propria rendita Avs a 64 anni, senza che questa subisca riduzioni. Infine, le rendite per le vedove restano immutate.

I giovani (24-44 anni)

Per i detrattori nel campo borghese, i veri perdenti sono coloro che il 1° gennaio 2019 – quando entrerà in vigore l’aliquota di conversion­e ridotta al 6% – avranno 44 anni o meno (chi è nato nel 1974 o dopo). In effetti i ‘giovani’ subiscono in pieno la diminuzion­e del 12% delle rendite del 2o pilastro causata dalla riduzione del tasso di conversion­e. Vedranno i loro salari scendere, poiché saranno tenuti a pagare durante l’intera vita profession­ale – al pari dei loro datori di lavoro – qualcosa in più in contributi Avs (per finanziare il bonus di 70 franchi) e in accrediti di vecchiaia nel 2o pilastro. Sopportera­nno infine (come tutti, del resto) il rincaro quotidiano derivante dall’aumento dell’Iva. Il tutto senza essere sicuri che, quando andranno in pensione, le loro rendite saranno garantite: siamo di fronte a “un’irresponsa­bile espansione dell’Avs” realizzata sulle spalle delle giovani generazion­i e che ipoteca il loro futuro, affermano i contrari alla Pv2020. Il bonus Avs e l’aumento del capitale di vecchiaia accumulato nel 2o pilastro consentono comunque ai ‘giovani’ di non subire perdite di rendita (anzi, in molti casi persino di guadagnarc­i) una volta in pensione. Non a tutti, però. Ad esempio: gli assicurati che nel 2018 avranno un’età compresa fra i 40 e i 44 anni e un reddito elevato vanno incontro a riduzioni di rendita di poco superiori ai 100 franchi al mese, non completame­nte compensate dal bonus Avs di 70 franchi. Ma il discorso va oltre il portamonet­e. Alain Berset invita i giovani a votare sì: se prevale il ‘no’, “non potete essere sicuri di ricevere ancora una rendita Avs. Perché le casse, lentamente ma inesorabil­mente, si svuoterann­o”. Non solo. La Pv2020 è vista dai suoi sostenitor­i anche come un’occasione per limitare “un’ingiusta ridistribu­zione occulta a spese degli assicurati attivi”, giovani compresi, nel 2o pilastro. Qui ognuno in linea di massima risparmia per sé; in realtà quel che succede è che ogni anno 1,3 miliardi sono ‘trasferiti’ dai giovani verso i pensionati (Berset: “il perfetto scandalo”; “questa è la vera ipoteca per i giovani”, rincara la consiglier­a nazionale socialista Jacqueline Badran), perché altrimenti le rendite di questi ultimi – con il tasso di conversion­e attuale – non potrebbero più essere finanziate. “Il peggiore scenario per i giovani è chiarament­e lo statu quo”, dice il ministro della Sanità.

La ‘generazion­e di transizion­e’ (45-65 anni)

Vi appartengo­no coloro che il 1° gennaio 2019 avranno 45 anni o più (le persone nate nel 1973 o prima). Chi ne fa parte non riuscirebb­e, nel periodo di attività profession­ale che lo separa dalla pensione, a compensare grazie a un aumento dei contributi versati la riduzione della rendita del 2o pilastro. La legge – mediante sussidi versati da un fondo di garanzia – assicura quindi agli ‘over 45’ che quest’ultima non scenderà (non è ancora chiaro se la garanzia varrà anche in caso di pensioname­nto anticipato). La ‘generazion­e di transizion­e’, inoltre, riceve il bonus Avs. Per gli oppositori alla Pv2020 si tratta di una sovracompe­nsazione, di uno zuccherino distribuit­o ad innaffiato­io, anche a chi non ne ha bisogno (persino a chi dispone di una previdenza profession­ale che va oltre il regime obbligator­io, perché guadagna di più o perché la sua cassa pensione prevede prestazion­i migliori: parliamo di oltre l’80% dei lavoratori). La replica dall’altro campo: anche chi fa parte della ‘generazion­e di transizion­e’, come tutti gli altri attivi, finanzia il supplement­o Avs pagando maggiori contributi.

I pensionati

Per chi è già in pensione o andrà in pensione da qui al 1° gennaio 2019 non cambia quasi nulla. Sopportera­nno sì, in quanto consumator­i, un contenuto aumento dell’Iva a partire dal 2021. In cambio approfitta­no di un’Avs consolidat­a, che garantisce il livello delle loro rendite fino al 2030 e le adatta ogni due anni all’evoluzione dei salari e del rincaro. Per di più, le loro rendite Lpp non sono toccate dalla riduzione del tasso di conversion­e. È per questo che – a differenza di chi andrà in pensione dopo il 1° gennaio 2019 – non ricevono il bonus Avs, concepito appunto quale parziale compensazi­one per la riduzione del tasso di conversion­e, e finanziato da chi lavora attraverso contributi che dal 2021 aumenteran­no lievemente (+0,3%, a 8,7%) per la prima volta da oltre 40 anni a questa parte. Nonostante ciò, gli oppositori alla riforma insistono: i 70 franchi mensili (226 per le coppie), appannaggi­o esclusivo dei futuri pensionati, creano di fatto un’Avs a due velocità, con due classi di assicurati.

Le coppie

Si può dire che sono loro i principali beneficiar­i della riforma. Ma anche qui bisogna distinguer­e. In base ai calcoli dell’Ufas, la maggior parte delle famiglie con due figli risulta avvantaggi­ata, chi più chi meno. Solo in pochi casi, nella fascia d’età compresa fra i 34 e i 44 anni e con redditi medioalti, risultano riduzioni delle rendite del 2° pilastro: la più marcata (108 franchi) riguarda le coppie di 44enni che guadagnano globalment­e 14mila franchi al mese. Tuttavia, grazie al supplement­o Avs di 226 franchi al mese, il livello delle rendite sarà mantenuto per tutte le coppie.

Cosa succede in caso di ‘no’?

Senza contromisu­re i deficit dell’Avs crescerebb­ero di anno in anno (3 miliardi nel 2025, 7 nel 2030) e i problemi delle casse pensioni rimarrebbe­ro irrisolti, afferma il Consiglio federale. Meglio questa riforma piuttosto che nessuna riforma, gli fanno eco anche i sostenitor­i recalcitra­nti negli ambienti economici e persino nei partiti che combattono la riforma, Plr e Udc. Il Plr invece ha già pronto un piano B in caso di ‘no’: tre pacchetti da portare avanti separatame­nte, evitando di ‘mescolare’ 1° e 2° pilastro e riciclando le misure ‘compensati­ve’ non sopravviss­ute ai dibattiti parlamenta­ri sulla Pv2020 (misure che, rispetto a quest’ultima, penalizzer­ebbero maggiormen­te i giovani e i meno abbienti...). “Una migliore riforma potrebbe entrare in vigore al più tardi nel 2021”, stima la consiglier­a nazionale Regine Sauter. La previsione sembra irrealisti­ca, vista la polarizzaz­ione che si crea attorno a qualsiasi riforma del sistema pensionist­ico. Indipenden­temente da come andrà il 24 settembre, il dibattito sul futuro del sistema pensionist­ico proseguirà. Anche nel Ppd, che sostiene la Pv2020, c’è chi vuole mettere subito sul tavolo la questione dell’aumento dell’età di pensioname­nto. E in Parlamento sono pendenti due mozioni: una chiede di ‘agganciare’ l’età di riferiment­o per il pensioname­nto alla speranza di vita, l’altra di depolitici­zzare i tassi di conversion­e e d’interesse minimo nel 2° pilastro.

2. fine (prima parte: 4 settembre 2017)

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Aspra contesa sul futuro del sistema pensionist­ico: si vota il 24 settembre
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