AlpTransit, due condanne
Decesso di Pietro Mirabelli a Sigirino, operaio assolto, pene pecuniarie all’ingegnere e al caposciolta
Dopo le pesanti critiche agli inquirenti per come hanno gestito l’inchiesta successiva ai fatti di sette anni fa, il giudice Mauro Ermani riconosce il principio del risarcimento agli eredi, rinviato al foro civile
Una sentenza destinata a far discutere quella scritta ieri dal giudice Mauro Ermani. Non tanto per l’entità delle condanne per omicidio colposo: due pene pecuniarie a carico dell’ingegnere 50enne svizzero responsabile della sicurezza del cantiere AlpTransit di Sigirino e nei confronti del caposciolta 58enne. Quanto per la morte di Pietro Mirabelli, 54 anni minatore calabrese deceduto sul posto di lavoro il 22 settembre del 2010 nel cantiere della galleria AlpTransit di Sigirino. Una morte la cui responsabilità è stata attribuita da un tribunale, per una delle prime volte a livello svizzero, a due persone riconosciute negligenti. Da noi contattati, preferiscono non parlare i due legali di entrambi i condannati. Dal canto suo, è soddisfatto l’avvocato Stefano Rossi, che temeva per la posizione subordinata (di operaio 45enne spagnolo al fronte) del suo assistito: «Stavolta è avvenuto il contrario rispetto a quanto capita di solito, ossia che il “piccolo” è chiamato a pagare». Ma un’altra situazione ha fatto “rumore” durante il dibattimento celebratosi giovedì 17 e venerdì 18 agosto in aula penale. Il presidente della Corte delle Assise correzionali di Lugano Mauro Ermani ha strigliato in maniera pesante gli inquirenti che gestirono il caso nei giorni successivi al decesso del minatore dopo che gli crollò addosso un macigno di 400 chili. Inquirenti che non misurarono lo spessore del calcestruzzo gettato in precedenza sulla volta della galleria né prelevarono la scatola nera contenuta nella perforatrice che avrebbe consentito di ricostruire l’incidente. Tanto che il giudice criticò aspramente la perizia giudiziaria allestita a oltre due anni dai fatti. E senza mezzi termini disse: «In questo caso, la polizia ha dato il peggio di sé partendo dall’idea che si trattò solo di una tragica fatalità», compromettendo l’inchiesta che venne dapprima chiusa con un non luogo a procedere, per poi essere riaperta dopo un ricorso e condotta dal procuratore generale John Noseda. Tornando alla sentenza, come detto spicca il proscioglimento del 45enne che guidava la perforatrice. Ermani ha invece condannato il caposciolta 58enne a 90 aliquote giornaliere di 90 franchi l’una (corrispondenti a 2’700) difeso da Luigi Mattei. La pena nei suoi confronti è stata sospesa per un periodo di prova di due anni. Stesso discorso nei confronti dell’ingegnere 50enne responsabile della sicurezza del cantiere. Difeso da Sebastiano Pellegrini, l'uomo è stato condannato a 150 aliquote giornaliere di 170 franchi ciascuna (pari a 25’500 franchi). Anche nei suoi confronti la pena è stata sospesa per due anni. Il giudice ha inoltre riconosciuto il principio delle pretese dell’accusatore privato (la comunione ereditaria) rimandando la questione al foro civile.