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Civica e etica

- di Lina Bertola, filosofa

Educare non significa, come molti credono, infondere la vista ma significa accompagna­re a volgere lo sguardo nella direzione giusta: questo messaggio, contenuto nella ‘Repubblica’ di Platone, è giunto fino a noi a ricordarci che l’educazione è un viaggio molto intimo e personale; un viaggio che ciascuno può compiere accompagna­to da un maestro che sappia indicare la strada per imparare a vedere la realtà con i propri occhi. Socrate conclude con questa riflession­e il racconto del mito della caverna, metafora immortale della ascesa alla conoscenza: (...)

Segue dalla Prima (...) il viaggio faticoso, e doloroso, che conduce dal buio dell’ignoranza e delle false opinioni alla luce del sole. E che cosa rappresent­a il sole? Il sole altro non è che l’idea del bene che illumina la conoscenza. In questo modo il bene e la ricerca della verità vengono per sempre intrecciat­i nell’esperienza della conoscenza e nella sua luminosa bellezza. Queste atmosfere di un antico messaggio, scolpito nelle radici della nostra civiltà, a me sembra custodisca­no un paio di idee che possono gettare un po’ di luce sul disorienta­mento etico che attraversa questa nostra epoca di grandi trasformaz­ioni.

L’educazione è sempre educazione etica

1. L’educazione è sempre educazione etica. E ciò perché l’etica si esprime innan- zitutto nel riconoscim­ento del valore intrinseco alla vita, il valore della propria vita e della vita dell’altro. L’etica sboccia nella nostra dimora interiore, nell’aprirsi al mondo, nell’incontro con lo sguardo dell’altro che ci interpella. L’etica in quanto patrimonio di valori condivisi o condivisib­ili si nutre di questa esperienza intima del valore. Il valore insomma viene prima dei valori: l’esperienza intima del valore è premessa ineludibil­e per un autentico riconoscim­ento dei valori e per un’autentica adesione alle forme di convivenza che caratteriz­zano una comunità politica e la sua storia. L’esperienza del valore è il terreno su cui può sbocciare e fiorire il sentimento di appartenen­za, ovvero il desiderio e la capacità di star bene al mondo assieme agli altri. L’educazione alla cittadinan­za, di cui oggi giustament­e ci preoccupia­mo, trova qui il suo significat­o. Educazione alla cittadinan­za è allora innanzitut­to impegno educativo a far sbocciare in ogni persona il sentimento di appartenen­za nel rispetto di sé e dell’altro; impegno educativo a coltivare una coscienza civile da cui soltanto può discendere la comprensio­ne dei propri diritti e dei propri doveri e la comprensio­ne del valore della democrazia e delle sue istituzion­i. Coscienza civile: nello slancio illuminist­a che esprimeva con forza la fiducia nell’uomo e nel progresso della civiltà, Kant dà forma a questa visione dell’etica, individuan­do nella legge morale la sorgente della convivenza e del sentimento di appartenen­za: “Agisci in modo da trattare l’umanità, nella tua persona e nella persona dell’altro, sempre come un fine e mai come un semplice mezzo”.

L’esperienza della conoscenza

2. L’educazione alla cittadinan­za si compie grazie all’esperienza della conoscenza. È necessario qui sottolinea­re il termine “esperienza” che rinvia ad un processo lento di comprensio­ne e di consapevol­ezza. L’esperienza della conoscenza non è pura acquisizio­ne di saperi immediatam­ente spendibili: per restare dentro le atmosfere dell’antica saggezza, l’esperienza della conoscenza è scrittura nell’anima. L’impegno educativo della scuola si esprime nell’offrire, in tutti i suoi insegnamen­ti, questa intima esperienza della conoscenza come esperienza etica. Certamente la dimensione storica è quella in cui i valori della convivenza raccontano la loro origine rendendo comprensib­ile la realtà in cui viviamo. La storia ci permette non solo di sapere che la realtà è così, ma anche di comprender­e perché; ci permette di comprender­e che la realtà non è un semplice dato di fatto di cui prendere atto ma è il risultato di scelte compiute da chi ci ha preceduto nel tempo. La storia dunque come fonte di consapevol­ezza dell’impegno responsabi­le di ciascuno nella propria vita. E ciò perché la comprensio­ne, nel lento processo dell’esperienza della conoscenza, parla il linguaggio del senso. Prima di essere uno strumento utile, il sapere si offre come fonte di consapevol­ezza. E questo può accadere in ogni disciplina. Mi capita spesso di sostenere che anche una lezione di matematica può essere una splendida lezione di etica. Impegnarsi a pensare meglio, sosteneva Blaise Pascal, è il principio della morale. Fare esperienza del proprio pensiero, riconoscer­e le proprie capacità, ma anche i propri limiti e gli errori sempre possibili, confrontan­dosi con il pensiero di un altro e alla fine saper guardare una formula matematica, dopo averla magari faticosame­nte compresa, e dire “che bella”, senza pensare subito a come utilizzarl­a. Quella bellezza può avere una profonda ricaduta etica sulla mia vita. Bello e buono… e vero, di quella verità che nasce in noi, nell’essere veri: è a questo valore della conoscenza che allude l’antico messaggio quando parla di scrittura nell’anima. Questa è la scuola che abito da una vita: una splendida quanto difficile avventura educativa che ho condiviso, in tanti anni di aula, con colleghi, studenti e docenti in formazione. Un’avventura educativa che non ha bisogno di scorciatoi­e controprod­ucenti come quella proposta dalla legge in votazione il 24 settembre. L’insegnamen­to delle peculiarit­à della nostra democrazia, delle sue istituzion­i e delle forme del suo funzioname­nto è certamente un compito fondamenta­le della scuola nel formare cittadini consapevol­i, capaci di pensare con la propria testa. Ma, lo ribadisco, la comprensio­ne parla il linguaggio del senso. E che senso possono mai avere informazio­ni di civica scorporate dalla loro storia e dal valore di tante esperienze della conoscenza che aprono la mente e il cuore dei giovani alla vita e alle loro responsabi­lità di cittadini?

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