I volti delle migrazioni d’oggi
A colloquio con Paolo Ruspini, dell’Istituto di ricerche sociologiche di Ginevra Una conferenza per mettere in luce il profondo paradosso che viviamo fra sovranità nazionale e integrazione dell’umanità in cammino
Un gommone fragile e stanco, sballottato dalle onde. Sopra, una, due, tre… decine e decine di teste e corpi sfibrati in balia di un’imbarcazione precaria; come la loro vita. La fotografia racchiude in sé, forse, l’immagine più eloquente ed emblematica di ciò che concepiamo come migrazione. Il fenomeno dei flussi migratori ha però tante facce, quante le motivazioni che spingono gli esseri umani a lasciare il proprio paese, la propria casa e la propria famiglia per intraprendere un viaggio verso una vita migliore. Da vent’anni, Paolo Ruspini si occupa di migrazioni internazionali e attualmente è ricercatore associato presso l’Istituto di ricerche sociologiche dell’Università di Ginevra e domani, giovedì 14 settembre, sarà il relatore della conferenza “Le migrazioni internazionali oltre le crisi. Uno sguardo transnazionale su vecchie e nuove mobilità”, organizzata dal Comitato unitario per una nuova politica migratoria, con la moderazione di Francesco Bonsaver, giornalista di ‘Area’ (alle 20 al Canvetto Luganese). L’incontro si è prefissato alcuni propositi, fra i quali l’esplorazione delle migrazioni contemporanee. Abbracciando una visione scientificamente fondata e basata su dati empirici, si cercherà di dare una lettura corretta del fenomeno, andando più in là delle immagini stereotipate e strumentalizzate, cui quasi quotidianamente siamo confrontati. Immagini che ci danno un’idea parziale e sfocata – spesso falsata da cifre che non riusciamo a considerare nei contesti nazionale e transnazionale – del fenomeno migratorio, in continuo mutamento. Il fulcro è e rimane l’essere umano, l’incontro si prefigge altresì di andare verso un approccio inclusivo, contrastando la precarizzazione, ridando diritti e dignità ai soggetti deboli e fragili della migrazione. In un periodo in cui «la sovranità nazionale è tornata a essere molto forte, così come il controllo dei confini», abbiamo approfondito il tema con Ruspini.
Nel titolo della conferenza ci sono tre parole che incuriosiscono: ‘oltre’, ‘vecchie’ e ‘nuove’…
‘Oltre’ perché ci spinge a riflettere sulle migrazioni internazionali al di là della contingenza che ha catturato l’attenzione di media, opinione pubblica e operatori nell’arco degli ultimi anni, con una prospettiva forzatamente eurocentrica. Mentre le migrazioni internazionali hanno uno spettro che va oltre le crisi, ma anche oltre l’Europa. Di crisi se n’è parlato molto, spesso anche male: i flussi significativi che negli ultimi anni hanno caratterizzato lo spazio migratorio europeo sono stati letti in diversi modi, ‘crisi dei migranti, dei rifugiati’… attribuendo sempre questa dimensione
di crisi a soggetti fragili e vulnerabili. Certi discorsi politici poi manipolano e strumentalizzano le cifre per coltivare il proprio rendiconto elettorale, facendo dei migranti il capro espiatorio.
E per i due aggettivi?
Sul concetto di vecchie e nuove forme di mobilità o migrazioni, intendo proporre uno sguardo basato su un approccio teorico: il concetto di transnazionalismo, che va oltre le cesure nette fra il punto di partenza e quello di approdo della persona in cammino. È un concetto che vede i processi migratori come un continuum. Da qui si può riflettere sul fatto che vi siano processi che non sono affatto nuovi, che attualmente si ripropongono sotto forme diverse, con intensità diversa, dovuti a fenomeni più grandi, come la globalizzazione di trasporti, comunicazioni eccetera.
La memoria collettiva, soprattutto di noi europei, pare sia corta o piuttosto opportunistica. Dacché il tempo è tempo, l’essere umano migra. Perché quindi il tema sembra essere così pressante, tanto da dar adito a una certa psicosi?
Perché ci rimette in discussione e ci costringe a confrontarci con noi stessi e gli altri, con le nostre paure, i nostri trascorsi che abbiamo opportunisticamente rimosso. Sono fenomeni che costringono, scomodando la sociologia, a guardarci allo specchio e a riflettere. Questo naturalmente genera paure e timori che sono parte della natura umana, anche alla luce del mutamento rapido della composizione sociale. Si assiste dunque a un forte scontro fra ritorno alla sovranità nazionale e sviluppo di processi che necessariamente vanno oltre i confini. Questo è il grande paradosso cui siamo confrontati. La riflessione sulla mobilità che propongo quindi non è basata su termini univoci, da un punto di partenza a un punto di arrivo, ma su un approccio di continuità.
Spesso ci si perde nelle definizioni delle diverse tipologie di migrante: sono effettivamente univoche? Hanno senso oppure sono ulteriori barriere costruite dalle politiche migratorie?
È indubbio che la sovrapposizione fra le motivazioni (economiche, politiche eccetera) per cui un individuo decide di migrare esiste. È una materia che si presta a strumentalizzazione e a letture unilaterali; quando si fanno delle analisi bisogna perciò prestare attenzione a tutte le sfumature che questi processi implicano. Le motivazioni, lo dicevamo, sono diverse, però è pur vero che la confusione fra le differenti tipologie di migrante non aiuta a comprendere il fenomeno. C’è una forte necessità di chiarezza (da anni, alcune organizzazioni internazionali stanno andando in questa direzione) con il rischio però dell’adozione di soluzioni dal carattere esclusivamente normativo, che in realtà possono ingabbiare e fornire un ulteriore pretesto di discriminazione, al di là degli obiettivi scientifici e umanitari.
Quindi, in ultima battuta, potrebbe fare una considerazione sulle politiche migratorie?
Propongo una riflessione generale. Vi è in atto una tendenza fortemente contraddittoria tra la dimensione di controllo, il contrasto all’immigrazione irregolare (che sappiamo essere in realtà ben tollerata nei contesti di ricezione) e quella di integrazione. Se riflettiamo su numeri e cifre, le risorse spese per contrastare i flussi misti di cui si parlava prima sono molto più ingenti rispetto a quelle per favorire l’accoglienza; a livello locale, nazionale e transnazionale.