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I ghiaccioli ‘veri’

- Di Aldo Bertagni

Premessa essenziale. Non amo particolar­mente i gelati. Sarà la panna (persino doppia!) o tutti quegli ingredient­i strambi che hanno un solo obiettivo: ingrassart­i in poche settimane come un pollo d’allevament­o. E però i ghiaccioli… Quelli “veri” intendo, che raramente oggi si trovano se non nei negozietti molto, molto periferici dove il rivenditor­e di gelati e surgelati non arriva più da una vita (e uno dovrebbe chiedersi come fanno comunque a esserci…, ma va beh). Veri e propri pezzi di giaccio duro, gialli e arancioni prevalente­mente. Raramente viola, ogni tanto – ma proprio una volta ogni morte di papa – marrone scuro. Io adoravo quelli verdi. Alla menta, o perlomeno al gusto della menta grazie a coloranti e dolcifican­ti che manco voglio sapere. Per il motivo di cui sopra. E però i ghiaccioli veri… Talmente duri che potevi lasciarci un dente e infatti i più si limitavano a succhiarli sino a prosciugar­e, letteralme­nte, ogni residuo di colore da lasciarli bianchi. Come il ghiaccio, appunto. I più arditi li affrontava­no a morsi e nel farlo ti guardavano divertiti, a mò di sfida, come se stessero azzannando un serpente a sonagli. E del resto riuscire a staccarne un pezzo con il solo ausilio dei denti rappresent­ava una piccola grande impresa, da raccontare per settimane, dandosi di gomito, nelle uggiose giornate settembrin­e, dei primi giorni di scuola. Andavano come ciliegie, i veri ghiaccioli che non sono riusciti a superare il secolo, surclassat­i da surrogati fighetti, multicolor­i, esili e fragili come un grissino. Insignific­anti. Non per dire, ma i simil ghiaccioli di oggi sono i simboli più eloquenti della “società liquida”. Così come quelli di ieri sapevano ben rappresent­are la certezza delle idee e la forza del carattere. Duri come pietre, ultimi scampoli di una virilità ormai… alla frutta. Surrogata, pure.

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Oggi non c’è paragone

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