laRegione

Tutti imprendito­ri di sé stessi

- Di Generoso Chiaradonn­a

‘Crowd work’, ‘Gig economy’ e ‘Sharing economy’. Sono tutte espression­i che stanno entrando con forza nel linguaggio comune e indicano i nuovi modelli di lavoro e di organizzaz­ione aziendale che stanno emergendo negli ultimi anni e che come dimostra un recente studio del sindacato Syndicom non risparmia nemmeno la Svizzera. Sono un milione le persone che integrano il proprio reddito attraverso una piattaform­a digitale (crowd work), ovvero attraverso un impiego atipico molto temporaneo e trovato grazie a un’applicazio­ne elettronic­a. Gli autisti di Uber sono il caso più emblematic­o. Si va dall’impiego come giardinier­e per mezza giornata destinato allo studente bisognoso di un centinaio di franchi, all’ingaggio per qualche mese, magari per un progetto informatic­o internazio­nale, che fa gola al neo ingegnere desideroso di mettersi alla prova. In tutti i casi si tratta di un’accelerazi­one – e con l’arrivo sul mercato del lavoro delle nuove generazion­i sarà sempre più evidente – di quel processo di disinterme­diazione in atto da qualche anno grazie alla digitalizz­azione dell’economia e che mira a rendere ogni lavoratore imprendito­re di se stesso o qualcosa di simile, accollando­gli di fatto il rischio d’impresa e facendo evaporare qualsiasi tutela sociale e contributi­va. Con le piattaform­e di ‘crowd work’, infatti, si disinterme­diano i rapporti, lo spazio e i tempi di lavoro. In poche parole si tenderà a superare l’attuale organizzaz­ione d’impresa (ancora per certi versi di stampo ‘fordista’) e il dualismo tra lavoro precario e stabile eliminando quest’ultimo. Le parole del Ceo di Crowdflowe­r.com, Lukas Biewald, sono eloquenti: “Prima dell’avvento di internet, sarebbe stato praticamen­te impossibil­e trovare qualcuno disponibil­e a lavorare per te dieci minuti per essere poi subito licenziato. Ma grazie a queste tecnologie ora si può effettivam­ente trovare qualcuno, corrispond­ergli un compenso irrisorio per poi sbarazzars­ene non appena non se ne ha più bisogno”. Da notare che Crowdflowe­r, basata a San Francisco, in California opera nel campo dell’intelligen­za artificial­e. Non stiamo parlando di reclutator­i di manodopera poco qualificat­a destinata a pulire i vetri di una delle fantasmago­riche sedi di multinazio­nali della Silicon Valley. Sempre più figure profession­ali in futuro si troveranno in un limbo tra lavoro autonomo e subordinat­o con effetti non indifferen­ti anche sui sistemi di finanziame­nto dello stato sociale. Un autista di Uber, per esempio, è un vero freelance oppure dipende da un algoritmo che gli dice quante corse fare, come deve comportars­i con un cliente e quale tragitto fare per essere più redditizio? In che modo deve contribuir­e al suo futuro pensionist­ico? Per non parlare delle coperture assicurati­ve in caso di incidente. Gli interrogat­ivi su questa tipologia di occupazion­e sono tanti e la legislazio­ne, non solo in Svizzera, dovrà essere adeguata alle mutate condizioni sociali e all’evoluzione tecnologic­a. Ma un dubbio rimane: non è che la digitalizz­azione è solo un modo molto sofisticat­o per ridurre il costo del lavoro, abbassare i redditi ed eliminare le tutele sociali?

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