Vent’anni di Supsi, Gervasoni: ‘Fiero di ogni diplomato’
La Supsi festeggia l’anniversario. Gervasoni: ‘Fiero di ogni diplomato’ Intervista al direttore della Scuola universitaria professionale. Tra campus in realizzazione e prospettive formative, e con la politica che sembra voler alzare la voce.
«Sono fiero di ogni studente diplomato che ha successo nella professione, di qualsiasi progetto che riceve un apprezzamento da un partner, di sapere che le proposte di formazione continua possono essere utili per chi le frequenta». Franco Gervasoni, direttore della Supsi dal 2008, non ha dubbi quando gli chiediamo qual è il traguardo raggiunto dalla scuola – che celebra i 20 anni di fondazione – di cui va più fiero. «Sono questi gli aspetti che più contano». Fors’anche di più rispetto a quanto risulta facilmente tangibile: i numeri in crescita (allievi, docenti, progetti di ricerca ecc.), lo sviluppo dell’offerta formativa, quello delle strutture... «A livello di traguardi, l’inizio della costruzione dei campus è un sogno coltivato per anni che inizia a realizzarsi».
Direttore Gervasoni, 20 anni di Supsi e di obiettivi centrati. Quali ancora non sono stati raggiunti?
Un obiettivo che dobbiamo coltivare è quello che riguarda l’attrattiva per alcune categorie di studenti: da un lato nel riuscire a “trattenere” nei nostri curriculum tecnici più allievi che provengono dal medio superiore ticinese; dall’altro creare un’offerta che possa stuzzicare ancor di più gli studenti della Svizzera interna, ad esempio in ambito artistico.
Oltre alla costruzione dei campus, quali sono i prossimi passi che non potete permettervi di sbagliare?
Nei prossimi due anni dovremo occuparci dell’accreditamento istituzionale, che con la nuova legge diventa collettivo (prima venivano accreditati i singoli corsi, ndr). Ciò implica una radiografia molto approfondita della qualità e dei processi. Un secondo tema è certamente quello di creare una collaborazione ancora più forte con le altre realtà universitarie del territorio, cioè Università della Svizzera italiana e Istituto universitario federale per la formazione professionale. Credo che i nuovi campus potranno permetterci di sfruttare la prossimità per fare squadra. Del resto, la competizione per ottenere i finanziamenti per la ricerca soprattutto internazionali si gioca sempre di più tra regioni anziché tra scuole. Un’altra sfida è quella di riuscire a contribuire attivamente allo sviluppo della sensibilità digitale nella scuola e nella società ticinese.
Quanto una scuola come la Supsi deve tener conto delle esigenze dell’industria, senza che la sua libertà di programmazione venga compromessa?
C’è sempre un equilibrio da trovare tra autonomia della scuola ed esigenze dell’economia reale. Posto però che il nostro sviluppo è molto – e volutamente – correlato agli sviluppi dei vari settori: il nostro obiettivo è far in modo che il diplomato possa essere rapidamente inserito nel mondo del lavoro.
Quanto può ancora crescere la Supsi in una dimensione ticinese?
Sicuramente a livello quantitativo non può crescere come negli ultimi dieci
anni. Oggi abbiamo una buona base a livello di formazione: bisognerà verosimilmente modificarne i contenuti, perché le professioni cambiano e dovremo adattarci. Stiamo riflettendo al mondo delle scienze della vita: c’è spazio per
una formazione professionale sup? Saranno valutazioni da fare nel prossimo futuro. In Ticino nel settore c’è un importante sviluppo, ma bisogna anche chiedersi se la massa critica è sufficiente.