Bitcoin da trattare con la massima cautela possibile
Sergio Rossi (Uni Friburgo) invita alla prudenza quando si parla di bitcoin La criptovaluta per eccellenza sta conoscendo una volatilità molto forte. Ieri ha perso 400 dollari per poi recuperarne più di mille in pochi minuti.
«Il bitcoin non è propriamente una moneta ma semplicemente uno strumento finanziario e come tale andrebbe trattato: con estrema cautela nella migliore delle ipotesi o starne alla larga nella peggiore». Non usa mezzi termini il professor Sergio Rossi, ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo, per descrivere la moda del momento. Il mondo delle criptovalute è al centro dell’attenzione pubblica oltre che della comunità scientifica da alcuni mesi soprattutto per l’aumento repentino del prezzo di un singolo bitcoin passato da poche centinaia di dollari a quasi 5mila dollari. Dopo la decisione della Banca centrale cinese di vietare ulteriori Ico (Initial coin offering, ovvero le operazioni di lancio di nuove ‘monete’ digitali), il prezzo del bitcoin e delle ‘valute’ sorelle (ethereum e simili) ha invertito il trend e ha incominciato a correggere fortemente. Ieri pomeriggio, per esempio, il prezzo di vendita del bitcoin è sceso sotto i 3mila dollari per poi recuperare fino a 3’600 dollari. La stessa dinamica è toccata alle le altre criptovalute con cali fino al 32% e rapidi recuperi (cfr. coinmarketcap.com).
Non solo la Banca centrale cinese ha puntato il dito contro il bitcoin. Anche il Ceo della banca d’affari statunitense JP Morgan, Jamie Dimon, ha definito il bitcoin una truffa. “La criptovaluta è adatta solo a venditori di droga, assassini e a chi vive in posti come la Corea del Nord”, aveva aggiunto concludendo che licenzierebbe in un secondo “chiunque facesse trading con il bitcoin nel suo istituto”.
«Le criptovalute – è stato dimostrato da indagini di polizia – sono usate soprattutto per eseguire transazioni economiche nel ‘dark web’ (l’internet oscuro, ndr), dove è possibile acquistare prodotti illegali», continua il professor Rossi. «Il bitcoin è solo una lunga catena di numeri ed è definito da un algoritmo matematico. Come tale non può avere potere d’acquisto in sé ma si appropria del potere d’acquisto che hanno le monete nazionali, come dollari, franchi o euro», precisa l’economista dell’Università di Friburgo. «In buona sostanza, le criptovalute non sono nient’altro che un’etichetta, recante per esempio la denominazione ‘bitcoin’, applicata alle monete nazionali per appropriarsi del loro potere d’acquisto nell’economia globale», afferma.
Il sogno di anarco-libertari
Diverso il discorso sulla tecnologia su cui si basano questi strumenti finanziari, ovvero la ‘blockchain’. «È il sogno di tanti anarco-libertari, quello di superare l’intermediazione del sistema finanziario classico o addirittura dello Stato e questa tecnologia accende l’immaginazione di molti. Se l’infrastruttura tecnologica ha quindi un valore economico, ciò non è il caso per il bitcoin, che è espresso solo da numeri, i quali ovviamente non hanno alcun valore», aggiunge Sergio Rossi, che fa anche notare la natura scritturale della moneta, emessa solo in minima parte dalla banca centrale e in misura di gran lunga maggiore dalle banche commerciali attraverso la concessione di credito. «Credito che fa aumentare il reddito nazionale solo se c’è creazione di valore grazie alla produzione di beni e servizi da parte dei lavoratori. Il bitcoin mi sembra più ‘l’evoluzione’ del ciclostile in cantina per stampare moneta falsa», conclude. In tutti e due i casi si cerca di ‘spacciare’ una pseudo valuta in cambio di monete come dollari, franchi o euro.