Per i diritti Swiss made
Il governo propone di respingere l’iniziativa ‘Per imprese responsabili’ Dick Marty, copresidente del comitato d’iniziativa critica la posizione del governo: il rispetto dei diritti umani fa parte della qualità svizzera
Delude Dick Marty l’invito rivolto ieri dal Consiglio federale al Parlamento a bocciare l’iniziativa popolare ‘Per imprese responsabili – a tutela dell’essere umano e dell’ambiente’. A giudizio del governo, nonostante che vi siano state violazioni dei diritti umani da parte di imprese con sede in Svizzera, sarebbe sufficiente affidarsi agli strumenti esistenti, appoggiandosi a misure volontarie e quindi non vincolanti. Marty, ex consigliere agli Stati ticinese (Plr) e copresidente del comitato d’iniziativa, è di parere ben diverso: «Ogni mese siamo confrontati con denunce documentate» sulla violazione dei diritti umani e su danni ambientali, dice a ‘laRegione’. L’iniziativa popolare chiede che le imprese che hanno la loro sede statutaria, l’amministrazione centrale o il centro d’attività principale in Svizzera debbano rispettare, sia nella Confederazione che all’estero, i diritti umani riconosciuti e le norme ambientali internazionali. Secondo l’articolo costituzionale proposto, le imprese potranno inoltre essere chiamate a rispondere non soltanto dei propri atti, ma anche di quelli delle imprese che controllano economicamente senza parteciparvi sul piano operativo. Pur ritenendo che l’economia debba assumersi le sue responsabilità in materia di diritti umani e protezione dell’ambiente, il Consiglio federale sostiene che il testo sia eccessivo in termini di responsabilità. Dick Marty ritiene invece che «la regolamentazione dell’iniziativa è molto ‘soft’: non prevede nessuna ulteriore burocrazia, nessun funzionario in più, ma solo l’obbligo di diligenza e la possibilità per i danneggiati di far valere i propri diritti in Svizzera». Il governo teme inoltre conseguenze negative per la piazza economica elvetica. L’ex consigliere agli Sati crede invece che sia «nell’interesse dell’azienda non più essere coinvolti in scandali. Inoltre ci sono già imprese che seguono questi principi e non mi risulta che siano state svantaggiate.». Secondo Marty potrebbe addirittura diventare un marchio: «Credo che faccia parte della qualità svizzera, dello ‘swissness’, non più essere coinvolti nella violazione dei diritti umani (come la schiavitù o il lavoro minorile) e in disastri ecologici. Sottolinea inoltre che, al contrario, sono proprio questi scandali che hanno conseguenze d’immagine negative per «tutta la piazza economica svizzera e anche per le aziende che si comportano correttamente». Nel trasmettere il messaggio al Parlamento, il governo ricorda che le disposizioni in materia di responsabilità richieste dall’iniziativa sono più severe rispetto a quelle in vigore in quasi tutti gli altri ordinamenti giuridici. Se l’iniziativa venisse accettata le imprese potrebbero infatti sottrarsi ai nuovi obblighi semplicemente spostando la sede all’estero. «In Francia hanno già adottato una legge simile e non c’è stata una sola azienda che se n’è andata dal Paese», afferma Marty. Anzi, secondo l’ex consigliere agli Stati «se un’azienda se ne va dalla Svizzera perché non è disposta fare qualcosa per proteggere i diritti dell’uomo e l’ambiente, allora è un’azienda che preferisco perdere che trovare». Il Consiglio federale indica però che i punti sollevati dall’iniziativa sono pertinenti: il rispetto dei diritti umani e la protezione dell’ambiente sono del resto due obiettivi prioritari del programma di legislatura 2016-2019. Per realizzarli l’esecutivo preferisce però puntare sugli strumenti esistenti, incoraggiando ad esempio l’elaborazione di norme internazionali. «Le Nazioni Unite attraverso il Consiglio dei diritti dell’uomo e recentemente attraverso il Comitato econo-
mico e sociale, L’Ocse e il Consiglio d’Europa (quindi tre prestigiosi enti internazionali) chiedono agli Stati di prendere disposizioni vincolanti, e non volontarie, in questo ambito. La Svizzera, avendo una grandissima concentrazione di sedi di multinazionali, credo che non possa essere ancora una volta a rimorchio
di quanto succede a livello internazionale», sottolinea Marty. «Mi piacerebbe vedere una Svizzera che ha l’ambizione di essere per una volta tra i primi a legiferare in questo campo, perché sono sicuro che tra dieci anni sarà un principio riconosciuto dalla legge della maggior parte dei Paesi del mondo».