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‘Non luogo, ma esperienza’

I 115 anni dell’Oratorio di Lugano. Intervista al direttore don Emanuele Di Marco

- Di Cristina Ferrari

Oltre 150 iscritti, molte attività promosse per coinvolger­e trasversal­mente le generazion­i in una società che, organizzat­a come manager, avrebbe solo bisogno di una sola risposta, quella sulla vita

Era il 1902 quando l’Oratorio di Lugano aprì le sue porte ai giovani. Oggi, a 115 anni di distanza, migliaia di ragazzi (e poi anche ragazze) hanno solcato, senza mai una pausa, seppur con alti e bassi, questo luogo. «Qui hanno giocato, hanno studiato, hanno trascorso il tempo – come ci introduce alla festa del rinnovato Oratorio (in agenda il 30 settembre e 1° ottobre anche attraverso una mostra di foto inedite e oggettisti­ca di grande interesse) il direttore don Emanuele Di Marco –. Protagonis­ta di un momento di significat­iva presenza, grazie a interventi edilizi e scenografi­ci, la struttura si presenterà con una veste unica, attraverso l’ideazione di sale a tema quali ‘Lo Hobbit’, ‘I pirati dei Caraibi’, ‘Fiat 500’». Oltre 150 iscritti, molte attività (fra martedì e domenica) dove non è necessario registrars­i e un nuovo slancio per fare dell’Oratorio un importante punto di incontro giovanile e non solo visto che è frequentat­o dai 2 ai 99 anni. In attesa dei festeggiam­enti abbiamo colto l’occasione per fare con don Emanuele un ‘viaggio’ fra giovani di ieri e di oggi.

Come ‘catturate’ le generazion­i 2.0?

Anche noi sfruttiamo quelli che sono i mezzi utilizzati oggi dai giovani, Facebook piuttosto che Twitter o la presenza di una rete wi-fi. Ciò però facendo sì che l’Oratorio non sia solamente un luogo ma sia un’esperienza, è questo il motto chiave. La bella casa l’avranno anche nelle loro famiglie, qui hanno un luogo diverso. Bambini che a casa hanno magari tutto, qui sono ben felici di trovare i loro compagni e giocare a calcio o al biliardo insieme. È un lavorare sulla qualità e questo i ragazzi lo sentono tanto.

Quali sono le richieste dei giovani d’oggi, solo di divertimen­to o soprattutt­o di ascolto?

Sì certamente, ed è bello quando si instaura questo tipo di rapporto. Perché è il terreno fecondo sul quale costruire tutto il resto. Fondamenta­lmente è quel rapporto di fiducia che poi apre le porte a mille altre cose. Ci sono dei ragazzi che vengono a portare le loro difficoltà in famiglia, magari anche delle difficoltà interiori. E anche quando c’è un lutto non ci tiriamo indietro ma cerchiamo di partecipar­vi insieme. Altri vengono a chiedere orientamen­to scolastico e profession­ale. E visto che questi ragazzi li conosciamo e li vediamo man mano crescere riusciamo a dar loro una direzione. Poi abbiamo la fascia dei 20-25 anni dove riscontria­mo una forte richiesta di ascolto e dove vengono fuori molte domande. Da prete non avrei mai immaginato di trovarmi confrontat­o con così tante situazioni da affrontare...

Cosa cercano i ‘millennial’?

Tantissimi domandano sul significat­o proprio della loro vita. Spesso pensiamo che vengano nel momento del bisogno, della crisi, in tanti invece arrivano prima. ‘Io ho una vita a disposizio­ne, e adesso cosa ne faccio?’ ci dicono.

Come dar loro risposte?

Quest’estate abbiamo lavorato sui tormentoni musicali. Abbiamo notato che tutti presentano i limiti dei social network. Sono, dunque, i giovani stessi che si rendono conto che possiedono fra le mani un’infinità di tecnologia ma che lascia sempre quella mancanza ‘dell’ultimo pezzo’. Per questo la musica, a mio parere, è un bel posto dove lavorare.

È impresa titanica far ‘dimenticar­e’ ai ragazzi i cellulari?

Per loro è lo strumento dell’onnipotenz­a perché dà le risposte su ogni aspetto del quotidiano: puoi riservare il treno in Giappone, guardare le previsioni meteo alle Hawaii e comandare un libro dall’Olanda. Per ‘entrare in concorrenz­a’ devi creare momenti aggregativ­i dove sono loro stessi a decidere di stare insieme. Certo ci vuole tempo... Quando arrivano per la prima volta hanno ancora quel senso di smarriment­o e finiscono per rifugiarsi nel telefonino.

Viviamo in una realtà multietnic­a. L’Oratorio di Lugano è aperto anche ai non cattolici?

Il nostro motto ‘Accoglie me’ intende proprio questo: un’accoglienz­a che è interessat­a a chi ho davanti, a ricercare un dialogo. Perciò non abbiamo paura a proporre, ma non a imporre, una diversa sensibilit­à religiosa, un programma che riflette il nostro essere, dove chiarament­e ci sono le feste del Natale, il crocifisso nelle aule, le nostre tradizioni.

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TI-PRESS/FRANCESCA AGOSTA Due dei numerosi rinnovati spazi dedicati al gioco e alle diverse fasce d’età

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