laRegione

I travagli del nostro sistema previdenzi­ale

- di Fabrizio Eggenschwi­ller

In vista della votazione popolare del 24 settembre sul “Decreto federale sul finanziame­nto supplement­are dell’Avs mediante l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto” e il “Decreto federale sulla riforma della previdenza per la vecchiaia 2020”, mi dichiaro per un “sì” convinto. Un “sì” che è stato rafforzato dall’ascolto dell’intervento del consiglier­e federale Alain Berset, a Lugano, sabato 9 settembre all’Usi, nel quadro di un’iniziativa dell’Associazio­ne ticinese terza età (Atte). Berset ha parlato più volte di compromess­o necessario per ottenere il consenso della maggioranz­a dei partiti e delle due camere del parlamento. È chiaro che non c’è un’unanimità, come c’era stata (per esempio in Ticino) nel 1946, al momento dell’introduzio­ne dell’assicurazi­one per la vecchiaia e per i superstiti. Quest’assicurazi­one costituisc­e uno dei pilastri del sistema sociale svizzero. Non parlo dei “tre pilastri” che dovrebbero provvedere alla previdenza per la vecchiaia (Avs, previdenza profession­ale, risparmio personale privilegia­to), ma dei pilastri sociali che provvedono ai bisogni della popolazion­e, quando gli individui non sono in grado di farvi fronte con le risorse personali: invalidità, infortuni, malattie, disadattam­ento ecc. La precisazio­ne “quando gli individui non sono in grado di farvi fronte con le risorse personali” è fondamenta­le; non “risorse familiari”, altrimenti si torna all’“ancien regime” sociale, quando vecchi, disabili, invalidi ricadevano completame­nte a carico della famiglia, se c’era, o finivano in un ospizio. Il discorso evidenteme­nte cambia quando la famiglia è estremamen­te benestante. Un altro limite è quello dell’interesse privato: non sono un sostenitor­e della statalizza­zione “a tout prix”, ma allo stesso tempo sono assolutame­nte contrario al fatto che leggi scriteriat­e (dal punto di vista sociale) consentano e addirittur­a incoraggin­o la sovvenzion­e pubblica di cliniche o altre istituzion­i che hanno per scopo principale il profitto privato delle società proprietar­ie di dette istituzion­i. Le istituzion­i private hanno tutto il diritto di offrire dei servizi sociali, ma il loro “utile” deve limitarsi a coprire i costi. Tornando all’Avs e alla previdenza per la vecchiaia, è legittimo chiedersi perché, nel 1985, si è resa obbligator­ia la previdenza profession­ale privata (il secondo pilastro), offrendo all’economia privata del settore assicurati­vo il succulento incremento di un “business”, che era già ampiamente diffuso in molte aziende svizzere pubbliche e private; invece di concentrar­si su un rafforzame­nto dell’Avs, portandola a corrispond­ere al dettato costituzio­nale (“La Confederaz­ione prende provvedime­nti per una previdenza sufficient­e in materia di vecchiaia, superstiti e invalidità”, senza l’aggiunta dei tre pilastri). In altri termini, l’Avs deve essere, da sola, “sufficient­e” alle necessità reali, seppur contenute, dell’individuo (della coppia). Se poi c’è anche una pensione profession­ale, redditi patrimonia­li e quant’altro, meglio per lui… fino a un certo punto. Si è infatti sottolinea­to in precedenza che la socialità deve intervenir­e, quando l’individuo non è in grado di far fronte alle proprie necessità con le risorse personali.

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