I travagli del nostro sistema previdenziale
In vista della votazione popolare del 24 settembre sul “Decreto federale sul finanziamento supplementare dell’Avs mediante l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto” e il “Decreto federale sulla riforma della previdenza per la vecchiaia 2020”, mi dichiaro per un “sì” convinto. Un “sì” che è stato rafforzato dall’ascolto dell’intervento del consigliere federale Alain Berset, a Lugano, sabato 9 settembre all’Usi, nel quadro di un’iniziativa dell’Associazione ticinese terza età (Atte). Berset ha parlato più volte di compromesso necessario per ottenere il consenso della maggioranza dei partiti e delle due camere del parlamento. È chiaro che non c’è un’unanimità, come c’era stata (per esempio in Ticino) nel 1946, al momento dell’introduzione dell’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti. Quest’assicurazione costituisce uno dei pilastri del sistema sociale svizzero. Non parlo dei “tre pilastri” che dovrebbero provvedere alla previdenza per la vecchiaia (Avs, previdenza professionale, risparmio personale privilegiato), ma dei pilastri sociali che provvedono ai bisogni della popolazione, quando gli individui non sono in grado di farvi fronte con le risorse personali: invalidità, infortuni, malattie, disadattamento ecc. La precisazione “quando gli individui non sono in grado di farvi fronte con le risorse personali” è fondamentale; non “risorse familiari”, altrimenti si torna all’“ancien regime” sociale, quando vecchi, disabili, invalidi ricadevano completamente a carico della famiglia, se c’era, o finivano in un ospizio. Il discorso evidentemente cambia quando la famiglia è estremamente benestante. Un altro limite è quello dell’interesse privato: non sono un sostenitore della statalizzazione “a tout prix”, ma allo stesso tempo sono assolutamente contrario al fatto che leggi scriteriate (dal punto di vista sociale) consentano e addirittura incoraggino la sovvenzione pubblica di cliniche o altre istituzioni che hanno per scopo principale il profitto privato delle società proprietarie di dette istituzioni. Le istituzioni private hanno tutto il diritto di offrire dei servizi sociali, ma il loro “utile” deve limitarsi a coprire i costi. Tornando all’Avs e alla previdenza per la vecchiaia, è legittimo chiedersi perché, nel 1985, si è resa obbligatoria la previdenza professionale privata (il secondo pilastro), offrendo all’economia privata del settore assicurativo il succulento incremento di un “business”, che era già ampiamente diffuso in molte aziende svizzere pubbliche e private; invece di concentrarsi su un rafforzamento dell’Avs, portandola a corrispondere al dettato costituzionale (“La Confederazione prende provvedimenti per una previdenza sufficiente in materia di vecchiaia, superstiti e invalidità”, senza l’aggiunta dei tre pilastri). In altri termini, l’Avs deve essere, da sola, “sufficiente” alle necessità reali, seppur contenute, dell’individuo (della coppia). Se poi c’è anche una pensione professionale, redditi patrimoniali e quant’altro, meglio per lui… fino a un certo punto. Si è infatti sottolineato in precedenza che la socialità deve intervenire, quando l’individuo non è in grado di far fronte alle proprie necessità con le risorse personali.