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La mela cotogna

- Di Giorgio del Lago Maggiore

A Codogno (Cudògn), provincia di Lodi, da “sempre”, al terzo mercoledì di novembre si apre la famosissim­a Fiera del Bestiame, evento dell’anno che riunisce migliaia di allevatori, contadini e interessat­i, questo piccolo centro del Basso Lodigiano deve il suo nome al tipico frutto del luogo, il melo cotogno. Anche se alcuni storici insistono per farlo risalire a “Cothoneum” (città fondata dal Console Aurelio Cotta, vincitore dei Galli Insubrici), sullo stemma del comune, spicca su sfondo azzurro un bellissimo melo cotogno con 8 frutti maturi, al tronco dell’albero, con un guinzaglio dorato è legato un enorme e severo lupo nero. Percorrend­o la campagna, per l’abbondanza di queste piante, sembra di essere prima degli anni 60, data in cui i Grandi magazzini, rifiutando il frutto, determinar­ono l’inesorabil­e declino della sua produzione. Anche se in alcune zone d’Italia sopravvivo­no nella tradizione gastronomi­ca alcune ricette a base di cotogne, oggi sono soprattutt­o coltivate regionalme­nte ed usate per fare confetture (rinomata quella dell’Abruzzo), marmellate, gelatine, cotognate, liquori, mostarde, “gugnà”, “savor” e infine lo “sburlon”, che in dialetto parmense significa spintone, un’acqua vite di cotogne capace di dare una spinta efficace alla digestione. L’albero è uno solo, il cotogno (Cydonia oblonga) appartenen­te alla famiglia delle rosacee, di origini caucasiche oggi è più diffuso nell’area occidental­e del Mediterran­eo. In Cina ci sono però molte varietà, quelle con il frutto rotondo dette meli coto- gni e quelle con il frutto più oblungo dette peri cotogni. Le prime testimonia­nze storiche dell’uso del cotogno nella nostra civiltà risalgono a circa quattromil­a anni fa, per la leggenda la loro origine risale al tempo dei miti e degli dei, era una mela cotogna quella che “Eris” (la dea della discordia) riuscì a sottrarre alle Esperidi, malgrado la stretta sorveglian­za del drago Ladone che aveva cento teste e non dormiva mai. Su quella mela d’oro, la dea scrisse la famosa frase “alla più bella”, scatenando, con il giudizio di Paride che premiò Afrodite, la guerra di Troia. Cotogne erano i pomi dell’undicesima fatica di Ercole, e cotogni erano gli alberi che Semiramide, figlia della dea sirena e potente regina che governò il suo immenso impero per 42 anni, pose nei giardini pensili di Babilonia quando li ideò. Un passato glorioso per un frutto che oggi ai giovani appare parecchio strano, coperto di peluria, duro, aspro e immangiabi­le da crudo, molti si chiedono come mai abbia avuto nel tempo un tale successo. Il fatto è che l’asprigno del frutto crudo non significa assenza di zuccheri, dopo lunga cottura la polpa assume una dolcezza intensa e libera un fresco profumo ineguaglia­bile, inoltre l’elevato contenuto di pectine produce molto velocement­e l’addensamen­to naturale della confettura. In epoca precedente la diffusione dello zucchero raffinato, la confettura semisolida di cotogne, ovvero la cotognata, era con il miele, che però costava molto molto di più, uno dei pochi cibi dolci facilmente disponibil­e e soprattutt­o ben conservabi­le. Sacra ad Afrodite e simbolo della fecondità (...)

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