Le opinioni
travagliata stesura, risultasse buona almeno la confettura. Vi dico come ho fatto, ho tolto con uno straccio pulito i residui di peluria dai frutti interi, strofinando fino a che la buccia è diventata brillante come l’oro, poi li ho tagliati in grossi pezzi lasciando buccia e torsolo con i semi. Ho risciacquato bene i pezzi di cotogna, li ho messi in un unico pentolone appena coperti d’acqua, e li ho fatti sobbollire senza coperchio per almeno quattro ore, sempre controllando di non farli attaccare sul fondo e rimestando di tanto in tanto. Quando la polpa risulta ben tenera, lasciatela leggermente intiepidire e passatela al setaccio fine, quindi pesatela. Ad un chilo e mezzo di polpa, dopo aver saggiato il grado zuccherino ho aggiunto 600 grammi di zucchero e 50 grammi di gelificante Unigel della Biofarm, poi ho continuato seguendo scrupolosamente le indicazioni riprodotte sulla bustina, ottenendo una gradevole e sana confettura. la vita quotidiana in saggezza pragmatica”: e quel “letteralmente” stava proprio a significare… letteralmente. In ‘Lucky’ infatti la vita quotidiana si fa saggezza pragmatica. E non è un caso se dietro ogni battuta pronunciata da un personaggio, poi, si nasconda qualche profonda verità. A voler sintetizzare, come ha fatto uno degli sceneggiatori nell’incontro con il pubblico dopo la proiezione, ‘Lucky’ racconta “il viaggio spirituale di un novantenne ateista” sullo sfondo del deserto dell’Arizona. Molti, a Locarno, hanno detto che il film era più adatto alla Piazza Grande, visti i pregi che possiede; che potrebbe addirittura essere da Oscar, azzardavano i più coraggiosi. E anche coloro che a Locarno c’erano, e che non sono riusciti a vederlo, ne avranno quasi sicuramente sentito dire un gran bene. Per il favore di cui ha goduto presso i festivalieri, ‘Lucky’ è diventato subito un mantra salvifico che si è diffuso per passaparola. In un festival tanto denso di appuntamenti, chi non rinuncerebbe a un’informazione che è rimbalzata sulla bocca di dieci, cento, mille e più persone? La disseminazione, il contagio del passaparola, sono diventati promessa di verità. Ecco perché a Locarno centinaia di nomadi postmoderni, anzi migliaia, quando hanno sentito parlare di Lucky, l’uomo che vive nel deserto, si sono mossi: hanno iniziato il loro viaggio. Hanno guardato il cielo, era terso. L’assenza di nubi, era un segnale. Poi era tutto buio e finalmente è apparso, l’uomo del deserto, su quell’enorme schermo bianco. E all’improvviso, tutto è diventato cinema. Se il Festival di Locarno ama ripetere che uno dei suoi obiettivi è quello di celebrare il presente in tutte le sue sfaccettature, con Lucky, senza ombra di dubbio, c’è riuscito pienamente: esprimendo, come meglio non si potrebbe, questa esigenza e questo obiettivo, rendendosi complice della magia del cinema e offrendo nella sua rinomata cornice un bellissimo omaggio a Harry Dean Stanton al momento opportuno. Cogliendo, senza necessariamente volerlo, quel sottile confine dove la vita sfuma nel cinema, ma nel cinema rimane. Goodbye, Harry Dean.