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Kamensky, dodici serate magiche

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Indubbiame­nte molte le date che, in ottant’anni di vita, hanno fatto la storia della società. Una di queste è quella del 15 novembre 1994. Alla Valascia si gioca Ambrì-Davos, e quella sera, nelle file dei biancoblù, con la maglia numero 13, c’è Valeri Kamensky, a tutt’oggi lo straniero più forte mai sbarcato in Leventina, e fra i migliori in assoluto ammirati sulla ribalta svizzera. A portarlo in Leventina fu l’allora membro di comitato Sergio Gobbi, che ripercorre gli accadiment­i che hanno reso possibile il suo temporaneo ingaggio: «Dobbiamo tornare alla stagione 1990/91): l’eliminazio­ne ai quarti di finale e il termine del contratto di Bullard, peraltro bravo, imponevano una nuova ricerca sul mercato degli stranieri. L’obiettivo era quello di ridare slancio alla società. Già l’anno prima, con Lefley (l’allora allenatore, ndr), avevamo focalizzat­o i nostri riflettori sui Mondiali, che si erano svolti a Berna. Così, vedendo quanto bene stavano facendo Bykov e Khomutov a Friborgo, decidemmo pure noi di puntare all’Est, e segnatamen­te alla Russia, per cercare gli stranieri. Ci fu un primo approccio con Kamensky, ma al momento di concretizz­are, si fecero avanti i Quebéc Nordiques che ce lo soffiarono... Restammo comunque in ottimi rapporti, tant’è che ai Mondiali dell’anno successivo, Valeri e io ci eravamo rivisti, trovandoci subito in sintonia. Nel frattempo ci eravamo accaparrat­i altri due ottimi russi, Leonov e Malkov: fu un’ottima esperienza, che ci spinse ad andare avanti in questa direzione». Poi, con il lockout, nel 1994, il grande sogno divenne realtà. «Erano le 21 del 20 ottobre o giù di lì. Ricevetti una telefonata: dall’altro capo del telefono c’era Kamensky in persona, che si diceva pronto a vestire la maglia dell’Ambrì qualora ci fosse stato ancora bisogno di lui. Il resto è storia...». In biancoblù rimase appena 12 partite, sufficient­i però a raccoglier­e un bottino personale di 19 punti (12 reti). Chiuse la sua parentesi con l’Ambrì la sera del 10 gennaio 2015, allo stesso modo di come l’aveva aperta contro il Davos: segnando. «A Zugo avrebbe anche potuto (e dovuto) non giocare, ma con un “escamotage”, giocò comunque. In seguito instaurai una bella amicizia con Valeri, un’amicizia che prosegue tutt’oggi».

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Lo sbarco ad Agno

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