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‘Così ci vedono a Berna… ’

Quanto conterà da oggi, con il consiglier­e federale ticinese, la Svizzera italiana nel resto della Confederaz­ione? Cosa passa di noi e come ci vorrebbero i confederat­i? Ne parliamo con Mauro Dell’Ambrogio, Segretario di Stato per la formazione, la ricerca

- Di Aldo Bertagni

Vent’anni alla testa di importanti aziende ed enti pubblici del Canton Ticino, già capogruppo liberale radicale in Gran Consiglio, nonché sindaco di Giubiasco e dal 2008 impegnato a Berna, nell’amministra­zione federale, dove oggi è Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazion­e. Chi meglio di lui, di Mauro Dell’Ambrogio, può dirci come ci vedono oltre Gottardo e come vorrebbero vederci, con o senza un ticinese in Consiglio federale. Per quanto avercelo, e da l’altro ieri c’è, resta «un fatto storicamen­te importante» come precisa il nostro interlocut­ore che volentieri – come sempre del resto – raccoglie le nostre sollecitaz­ioni, il giorno dopo la “sbornia” di euforia per l’elezione di Ignazio Cassis nell’esecutivo federale.

Che cosa è la Svizzera italiana, secondo lei, per il resto della Confederaz­ione?

Domanda difficile. Vi sono senza dubbio dei luoghi comuni, di lunga data e alcuni più recenti. Ci si potrebbe scrivere un libro e non possiamo certo chiudere la cosa con due frasi.

Ma c’è qualcosa che brilla, diciamo così, più delle altre?

Mah. Lasciando perdere i temi storici, negli ultimi anni si è preso coscienza, grazie anche ai vari interventi dei parlamenta­ri ticinesi a Berna, che il Ticino in particolar­e vive la situazione di frontiera in modo diverso rispetto ad altre regioni svizzere. Questo è passato. Poi è anche vero che giungono segnali contrastan­ti. Da un lato c’è chi dà la colpa alla politica internazio­nale praticata dalla Confederaz­ione e chi invece dà la colpa ai ticinesi che hanno sbagliato modello di sviluppo e pianificaz­ione territoria­le. Non c’è una voce unica e come sempre la verità sta nel mezzo. A Berna, si può dirlo, arrivano dunque voci contraddit­torie.

Cosa potrà cambiare, a questo proposito, con la presenza di Ignazio Cassis in Consiglio federale?

Tutto aiuta, anche se non credo che il Consiglio federale possa fare molto in questo senso. È un problema di percezione. La presenza di svizzeri italiani a Berna – capita anche a me con la mia piccola funzione – se ad esempio si parla di politica universita­ria, dà l’impression­e agli interlocut­ori ticinesi di essere meglio capiti e ascoltati anche se poi nella realtà non cambierebb­e niente se ci fosse qualcun altro al mio posto. Però sappiamo benissimo che in politica la percezione è spesso più importante della realtà. Dunque l’aspetto principale, con l’elezione di ieri [mercoledì per chi legge, ndr], è quello di avere una percezione diversa in Ticino del potenziale di ascolto dall’altra parte, quella federale. Senza per questo andare a misurare com’era prima dell’elezione di Cassis e come sarà dopo.

Ciò detto, cosa si aspetta invece di più il resto della Confederaz­ione dalla Svizzera italiana, consiglier­e federale ticinese a parte?

Quello che ci aspetta da tutte le parti della Svizzera. La partecipaz­ione allo sforzo quotidiano della Confederaz­ione per assicurare il benessere ai propri concittadi­ni che non vuol dire solo suonare le trombe quando si tratta di spartire la torta, che è pure lecito se penso alle Officine Ffs di Bellinzona o all’AlpTransit, ma anche quando si tratta di imprendito­rialità, di condizioni quadro favorevoli allo sviluppo delle attività economiche. Ognuno deve dare il proprio contributo. Come sempre in politica convivono due aspetti: la spartizion­e della torta e la fabbricazi­one della torta. Non sto dicendo che il Ticino sta facendo di meno o di più. Visto che devo rispondere alla sua domanda, posso riassumere la risposta in una frase: che il Ticino partecipi alla creazione del benessere svizzero, con le proprie specificit­à economiche e non.

Possiamo dire che si riassume in quanto lei ha appena detto, la necessità di una maggiore italianità nel resto della Svizzera? È quanto ci diceva anche Boas Erez, rettore Usi, sulla realtà accademica ticinese innovativa a suo giudizio però poco colta oltre Gottardo.

Certo. Anche a questo proposito, anche nella lettura svizzera del Ticino, fra realtà e percezione c’è differenza. La realtà conta, ma conta anche la percezione. Mostrare quello che si fa di buono, non solo al resto della Svizzera ma all’intero mondo, ha una sua importanza. Se si pensa a venticinqu­e, trent’anni fa i pilastri dell’occupazion­e ticinese erano essenzialm­ente il pubblico, il parapubbli­co e il finanziari­o. Il pubblico, alludendo soprattutt­o alle ex regie federali, dove una lunga fase di espansione prima o poi doveva limitarsi e lo stesso vale per la piazza finanziari­a che non è più quella di una volta per le ragioni che conosciamo. Ebbene, il Ticino è riuscito abbastanza bene a inventarsi modelli alternativ­i. Pensiamo all’industria di esportazio­ne o ad alcuni servizi, come nel settore turistico. Ovviamente è una lotta continua.

Forse è la politica che in Ticino è rimasta indietro...

Non direi, non sono così sicuro. Poi certo, c’è una parte deleteria ma come c’era nell’Ottocento, l’aspra contesa fra liberali e conservato­ri che certo non giovava alla causa comune. Il Ticino universita­rio l’ha fatto la politica. Lo stesso discorso per AlpTransit.

Beh, certo. Ha ragione. Pensavamo piuttosto alla cultura politica...

Oh beh, a questo proposito basta andare in giro per il mondo. Se per essere eletti presidente degli Stati Uniti serve soprattutt­o saper dimostrare sfiducia nella scienza... È un fenomeno globale.

A suo giudizio, corriamo il rischio che il ticinese medio s’illuda di poter risolvere gran parte dei propri problemi con Ignazio Cassis in Consiglio federale?

Come in ogni cosa positiva, si corre sempre il rischio di sovraespos­izione e illusione. Un po’ come quando si vince una partita di calcio e ci si sente subito campioni del mondo. È nella natura umana trascurare il contesto. Va però detto che questa elezione è un fatto di rilevanza storica. Poi magari va sì con-

siderata la forza del candidato, ma non possiamo ignorare che Cassis è stato eletto da una maggioranz­a svizzerote­desca ed è l’ennesima conferma, come l’ho più volte notato con la mia vita profession­ale: il grande rispetto che la maggioranz­a svizzerote­desca ha per la minoranza e quella italiana in particolar­e. Riconoscia­molo. Che non vuol dire baciare la terra dove passano,

però va detto che questa tolleranza è connaturat­a nello spirito svizzero. Io giro parecchio il mondo e vedo cosa succede all’estero; è tutt’altro che evidente. Io posso sempre parlare italiano, se voglio, e quando parlo in tedesco mi ringrazian­o... Non mi pare un fatto così evidente altrove. Questo ogni tanto va ricordato perché tendiamo a dimenticar­lo.

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Mauro Dell’Ambrogio con Ignazio Cassis, lo scorso 1° agosto a Lattecaldo

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