Il referendum azzoppato
Prime ammissioni dei dirigenti catalani: ora lo svolgimento della consultazione è difficile Lascia il segno l’operazione di polizia disposta dal governo di Madrid. Ma i catalani non intendono rinunciare al voto.
Barcellona – Arresti o no, il referendum si farà. La dirigenza catalana ha rinnovato ieri l’assicurazione che il primo ottobre gli elettori potranno pronunciarsi sulla secessione da Madrid. Ma qualche dubbio sulle possibilità che ciò avvenga viene espresso ormai anche dalle cariche più alte della Generalitat. «È evidente che non potremo votare come sempre – ha infatti amesso il vicepresidente Oriol Junqueras – ma cercheremo di essere all’altezza». Una sfumatura, ma sulla quale è presumibile che faccia leva il governo madrileno, per cercare di spaccare il fronte indipendentista. Una mera speranza, per ora, visto che il presidente Carles Puigdemont ha annunciato l’avvio del sito elettorale che indica, concretamente, a ogni cittadino dove e come potrà votare. Annuncio arrivato a fare da controcanto a quello di Mariano Rajoy, che nella notte aveva dato per smantellato il referendum e invitato Puigdemont alla resa per evitare “mali maggiori”. Di fatto, la forzatura disposta da Rajoy – l’invio della Guardia Civil, gli arresti di 14 funzionari del governo di Barcellona, il sequestro di dieci milioni di schede – ha, per ora, soltanto concorso a esacerbare una situazione che secondo alcuni commentatori sarebbe già di pre-guerra civile. Un’esagerazione, probabilmente, ma anch’essa sintomatica di un quadro ormai compromesso. Rajoy ha incassato ieri un prudentissimo sostegno da parte dell’Unione europea. Bruxelles, hanno fatto sapere fonti comunitarie, segue con “grande preoccupazione” la situazione. La linea resta quella della non ingerenza, ma non troppo. “Rispettiamo l’ordine costituzionale spagnolo”, ha detto una portavoce dell’Unione, mentre la linea ufficiale della Francia è l’auspicio di “una Spagna forte e unita”. A Barcellona non se ne curano. La notte seguita agli arresti ha visto migliaia di persone manifestare davanti alla sede del ministero dell’Economia, “assediando” gli agenti della Guardia Civil che avevano compiuto arresti e perquisizioni. Sono potuti uscire solo alle 3 del mattino, scortati dalla polizia catalana. Altre migliaia di manifestanti sono tornati a riunirsi ieri pacificamente davanti al Palazzo di Giustizia, in carrer Lluís Companys, per esigere la scarcerazione dei 14 detenuti. Sette sono stati rimessi in libertà. Manifestazioni di protesta si sono tenute peraltro in tutta la Catalogna. La partita, ovviamente, non è chiusa. La pressione dello Stato spagnolo aumenterà nei prossimi giorni. Madrid ha già
inviato rinforzi di polizia, almeno mille agenti, in Catalogna. Saranno alloggiati in tre navi nei porti di Barcellona e Tarragona. L’attracco a Palamos, in Costa Brava, un porto che dipende dal governo Puigdemont, è tuttavia stato negato. Il governo catalano ha pronti piani alternativi a seconda delle contromosse spagnole per arrivare comunque al voto, anche se ieri il ministro delle Finanze spagnolo Cristóbal Montoro ha preso il controllo diretto delle sue finanze. Conti e carte di credito sono stati bloccati. Il governo non ha più le schede per il voto, le convocazioni dei 45mila membri dei seggi sono state sequestrate. Il rischio ora è di un’ulteriore fuga in avanti.