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‘Né eroi, né criminali’

Il verdetto del giudice della Pretura penale di Bellinzona arriverà giovedì prossimo. Sino ad allora non si saprà se l’agire di Lisa Bosia Mirra a favore di 24 fra eritrei e siriani le porterà il prosciogli­mento o la conferma della condanna. Ieri in aula

- Di Daniela Carugati

«Non sono né una eroina dei profughi, né una pericolosa criminale. Chi la pensa così sbaglia, in entrambi i casi. Sono una persona semplice, con le preoccupaz­ioni delle persone comuni». Lisa Bosia Mirra parla al giudice (Siro Quadri), ma di fatto non si rivolge solo a lui. Ora che ha l’ultima parola – prima di chiudere l’udienza e rinviare alla sentenza, che sarà pronunciat­a giovedì prossimo – dà libero sfogo al suo sentire. Non ha remore – non le ha avute sin dalle prime battute del processo che la vede imputata – ad ammettere che la sua è stata una scelta «consapevol­e». E anche dettata un po’ dalla sua storia personale. Davanti alla ‘scena aperta’ dei giardini della stazione di Como San Giovanni, l’estate scorsa, «non avevo altra scelta», dichiara a cuore aperto. Una condizione che, fra il 18 agosto e il primo settembre 2016 (giorno del fermo a San Pietro di Stabio), l’ha portata a dare una mano a 24 persone, eritrei e siriani, a superare la frontiera e a dirigere a nord verso la Germania. La molla? L’aiuto umanitario. Ecco perché, scandisce il suo legale, l’avvocato Pascal Delprete, va «prosciolta da tutte le imputazion­i». Al più, chiede invocando le attenuanti, le va comminata una multa di un franco. Come di 1 franco, simbolico, è altresì la richiesta di risarcimen­to per torto morale presentata al giudice. Non l’ha vista così l’accusa che, per voce della procuratri­ce pubblica Margherita Lanzillo, si è riconferma­ta nel decreto e nella pena: 80 aliquote giornalier­e (ovvero 8’800 franchi, da sospendere per due anni). Perché la legge, fa capire a chiare lettere, è uguale per tutti. E pure qui è una questione di legalità, «non riguarda la giustizia etica». Come dire: fuori la politica dal dibattimen­to. Nell’aula del Tribunale penale federale a Bellinzona che, ieri mattina, ha dato ospitalità alla Pretura penale (per ragioni di spazio) c’è silenC’erano zio assoluto. I posti riservati al pubblico sono quasi tutti occupati – come la sala stampa, peraltro –, ma l’attenzione è massima. Lo è pure il sistema di sicurezza, al massimo, che, all’ingresso, passa tutto e tutti ai raggi ‘x’. Eppure non c’è nessun clamore, né dentro né fuori l’aula. All’esterno, una signora alza un cartello (contro le frontiere) e uno striscione (per ricordare che ‘nessun essere umano è illegale’), ma nulla più. Del resto, bastano i racconti di Lisa Bosia Mirra: sul campo di Como e sulla situazione dei migranti di solo un anno fa. Pur filtrati dagli schermi e dai microfoni sistemati nella sala stampa (separata dall’aula penale), arrivano come un pugno nello stomaco. «La situazione in cui mi sono ritrovata, a Como, era davvero molto grave» richiama la co-fondatrice dell’Associazio­ne Firdaus –. Di fronte alla giovane età dei migranti – in gran parte minori, come le persone aiutate dalla 43enne in nove circostanz­e, tante ne sono state ricostruit­e dagli inquirenti – non si poteva restare passivi, motiva. «Era impossibil­e accettare che non ci fossero delle misure di protezione». Quali erano i pericoli ai quali i minori erano esposti a Como?, sollecita Quadri durante l’istruttori­a. «Soprattutt­o la prostituzi­one, l’azzardo di cercare vie di fuga pericolose (come la ferrovia, ndr) e le reti di passatori, che a volte li abbandonan­o nei boschi». Sui trafficant­i di esseri umani la pensano tutti allo stesso modo, anche nell’aula bellinzone­se. «Sono tante le vittime, militi ignoti, di una guerra sociale che si combatte ogni giorno sulle frontiere dell’Unione europea», puntualizz­a a sua volta la pp Lanzillo. Ma nel sistema Europa, richiama, ogni Stato ha le sue regole. E Lisa Bosia Mirra, agli occhi dell’accusa, le ha violate. Anzi, era lei la «regista» del gruppo di persone dell’Associazio­ne. Faceva da ‘staffetta’ e teneva i contatti con i sui correi, tra cui il 53enne bernese che quel primo settembre la seguiva, a bordo del suo furgone quattro cittadini eritrei. «Non è così – insiste la pp, ribaltando la prospettiv­a– che si aiutano i migranti». La 43enne ha «varcato i confini dell’illegalità, consapevol­e di ciò che rischiava». Ma di quali confini si tratta? La difesa cala l’accordo di Schengen; che distingue tra frontiere interne ed esterne. E quelle con l’Italia e la Germania, sono interne. E questo, motiva Delprete, fa cadere le accuse di incitazion­e all’entrata e alla partenza illegali. Lei, Lisa Bosia Mirra, in ogni caso non ha cambiato idea: «Capisco vincoli e confini, ma quelle persone avevano bisogno di andare a casa (ricongiung­ersi ai parenti, ndr). Se sono pentita? Se penso al costo personale, sì. Se penso a loro, no».

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TI-PRESS/S. GOLAY Per l’accusa ha favorito l’entrata, la partenza e il soggiorno illegali. Per la difesa ha agito mossa da spirito umanitario

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