‘Né eroi, né criminali’
Il verdetto del giudice della Pretura penale di Bellinzona arriverà giovedì prossimo. Sino ad allora non si saprà se l’agire di Lisa Bosia Mirra a favore di 24 fra eritrei e siriani le porterà il proscioglimento o la conferma della condanna. Ieri in aula
«Non sono né una eroina dei profughi, né una pericolosa criminale. Chi la pensa così sbaglia, in entrambi i casi. Sono una persona semplice, con le preoccupazioni delle persone comuni». Lisa Bosia Mirra parla al giudice (Siro Quadri), ma di fatto non si rivolge solo a lui. Ora che ha l’ultima parola – prima di chiudere l’udienza e rinviare alla sentenza, che sarà pronunciata giovedì prossimo – dà libero sfogo al suo sentire. Non ha remore – non le ha avute sin dalle prime battute del processo che la vede imputata – ad ammettere che la sua è stata una scelta «consapevole». E anche dettata un po’ dalla sua storia personale. Davanti alla ‘scena aperta’ dei giardini della stazione di Como San Giovanni, l’estate scorsa, «non avevo altra scelta», dichiara a cuore aperto. Una condizione che, fra il 18 agosto e il primo settembre 2016 (giorno del fermo a San Pietro di Stabio), l’ha portata a dare una mano a 24 persone, eritrei e siriani, a superare la frontiera e a dirigere a nord verso la Germania. La molla? L’aiuto umanitario. Ecco perché, scandisce il suo legale, l’avvocato Pascal Delprete, va «prosciolta da tutte le imputazioni». Al più, chiede invocando le attenuanti, le va comminata una multa di un franco. Come di 1 franco, simbolico, è altresì la richiesta di risarcimento per torto morale presentata al giudice. Non l’ha vista così l’accusa che, per voce della procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, si è riconfermata nel decreto e nella pena: 80 aliquote giornaliere (ovvero 8’800 franchi, da sospendere per due anni). Perché la legge, fa capire a chiare lettere, è uguale per tutti. E pure qui è una questione di legalità, «non riguarda la giustizia etica». Come dire: fuori la politica dal dibattimento. Nell’aula del Tribunale penale federale a Bellinzona che, ieri mattina, ha dato ospitalità alla Pretura penale (per ragioni di spazio) c’è silenC’erano zio assoluto. I posti riservati al pubblico sono quasi tutti occupati – come la sala stampa, peraltro –, ma l’attenzione è massima. Lo è pure il sistema di sicurezza, al massimo, che, all’ingresso, passa tutto e tutti ai raggi ‘x’. Eppure non c’è nessun clamore, né dentro né fuori l’aula. All’esterno, una signora alza un cartello (contro le frontiere) e uno striscione (per ricordare che ‘nessun essere umano è illegale’), ma nulla più. Del resto, bastano i racconti di Lisa Bosia Mirra: sul campo di Como e sulla situazione dei migranti di solo un anno fa. Pur filtrati dagli schermi e dai microfoni sistemati nella sala stampa (separata dall’aula penale), arrivano come un pugno nello stomaco. «La situazione in cui mi sono ritrovata, a Como, era davvero molto grave» richiama la co-fondatrice dell’Associazione Firdaus –. Di fronte alla giovane età dei migranti – in gran parte minori, come le persone aiutate dalla 43enne in nove circostanze, tante ne sono state ricostruite dagli inquirenti – non si poteva restare passivi, motiva. «Era impossibile accettare che non ci fossero delle misure di protezione». Quali erano i pericoli ai quali i minori erano esposti a Como?, sollecita Quadri durante l’istruttoria. «Soprattutto la prostituzione, l’azzardo di cercare vie di fuga pericolose (come la ferrovia, ndr) e le reti di passatori, che a volte li abbandonano nei boschi». Sui trafficanti di esseri umani la pensano tutti allo stesso modo, anche nell’aula bellinzonese. «Sono tante le vittime, militi ignoti, di una guerra sociale che si combatte ogni giorno sulle frontiere dell’Unione europea», puntualizza a sua volta la pp Lanzillo. Ma nel sistema Europa, richiama, ogni Stato ha le sue regole. E Lisa Bosia Mirra, agli occhi dell’accusa, le ha violate. Anzi, era lei la «regista» del gruppo di persone dell’Associazione. Faceva da ‘staffetta’ e teneva i contatti con i sui correi, tra cui il 53enne bernese che quel primo settembre la seguiva, a bordo del suo furgone quattro cittadini eritrei. «Non è così – insiste la pp, ribaltando la prospettiva– che si aiutano i migranti». La 43enne ha «varcato i confini dell’illegalità, consapevole di ciò che rischiava». Ma di quali confini si tratta? La difesa cala l’accordo di Schengen; che distingue tra frontiere interne ed esterne. E quelle con l’Italia e la Germania, sono interne. E questo, motiva Delprete, fa cadere le accuse di incitazione all’entrata e alla partenza illegali. Lei, Lisa Bosia Mirra, in ogni caso non ha cambiato idea: «Capisco vincoli e confini, ma quelle persone avevano bisogno di andare a casa (ricongiungersi ai parenti, ndr). Se sono pentita? Se penso al costo personale, sì. Se penso a loro, no».