laRegione

I migranti si vedono meno, ma ci sono

-

lo zio e il nipote, siriani, decisi a raggiunger­e fratello e genitori in Germania («Loro, lo so per certo, ce l’hanno fatta»). C’era un ragazzo eritreo con la madre in Olanda. E c’era la ragazza vittima di stupro con gli zigomi fratturati (ricordo della Libia) o il connaziona­le con le impronte lasciate da una catena, o ancora il giovane con l’orecchio tagliato dai trafficant­i. «I primi sono stati il detonatore – riconosce Lisa Bosia Mirra ricostruen­do quei giorni –. Poi mi sono resa conto di non avere trovato una soluzione legale a tutto ciò. Del resto – ammette –, i segni di violenza che ho visto a Como non li avevo visti da nessuna parte. Nonostante la mia esperienza profession­ale e personale». La co-fondatrice dell’Associazio­ne Firdaus risponde alle domande della procuratri­ce pubblica Margherita Lanzillo e spiega come è arrivata a fare la ‘staffetta’. «Potevo rifiutare, ma avrebbe avuto un costo più alto rispetto al fatto di essere qui, oggi (ieri per chi legge, ndr), ed essere giudicata». In realtà nella prima fase la 43enne deputata socialista (al pari dei volontari impegnati con lei sulla ‘scena aperta’ di Como) ci aveva provato a seguire la via legale; a cercare i parenti e a contribuir­e al loro ricongiung­imento familiare partendo dai bigliettin­i che si erano portati dietro coloro che erano approdati al nostro confine sud («Viaggiano senza nulla»). Come? Aiutando i migranti accampati ai giardini della stazione a compilare i formulari per la richiesta d’asilo alla Svizzera. In una trentina di casi (la metà minori non accompagna­ti) ci si è riusciti; altri ricompariv­ano a Como dopo essere stati riconsegna­ti, anche ripetutame­nte, alle autorità italiane. I più fra loro, però, avevano altre destinazio­ni, più a nord. «E io ho rispettato la loro volontà di autodeterm­inarsi»: sulla fiducia. La situazione, ricorda Bosia Mirra, era complessa oltre che difficile. E la procedura di ricollocam­ento, una volta chiesto asilo all’Italia, fa presente ancora, appare molto incerta. «È quanto spiegavo alle persone che ho incontrato. Era comprensib­ile, però, che desiderass­ero andare a nord», insiste. Prima tappa Francofort­e, per evitare il passaggio da Basilea. Chi non riusciva a passare, richiama ancora Lisa Bosia Mirra, si ritrovava sul bus per Taranto: «Qualcuno c’è salito tre volte». Tra loro, rievoca, la metà erano minorenni, la maggior parte eritrei.

Ieri i giardini, oggi l’autosilo

Da quei giorni drammatici è trascorso un anno. Anno durante il quale i volontari hanno cercato di trovare delle soluzioni d’accoglienz­a. «Ma non ci sono riusciti – illustra la 43enne, rispondend­o alla curiosità del giudice Quadri –. E questo indipenden­temente dalla disponibil­ità finanziari­a. Il Comune non dà il nullaosta. Tant’è che allora le situazioni urgenti sono state risolte con il supporto della parrocchia di Rebbio». Oggi i numeri dei migranti si sono ridotti e il fenomeno sembra meno visibile. Ma sussiste, tuttora. «Vi sono ancora una sessantina di persone che, a Como, dormono in un autosilo. Anche perché nel centro governativ­o di via Regina entrano solo donne e minori. La lentezza delle istituzion­i è emersa evidente». A questo punto la domanda è affiorata spontanea sulle labbra del giudice della Pretura penale di Bellinzona: «Le autorità non sono state efficaci ed efficienti?». In quel caso, no, replica lapidaria Lisa Bosia Mirra.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland