Diritti nella rete
Come applicare le leggi sulla diffamazione e la calunnia nel contesto dei media sociali?
Offese online sempre più diffuse, ma non serve introdurre nuovi reati: bastano alcuni correttivi ad esempio sui termini di prescrizione, spiega l’avvocato e docente alla Supsi Gianni Cattaneo ospite della fondazione Möbius
“Ciò che è illegale offline è illegale anche online”: è da questo principio, all’apparenza semplice, che è partito Bertil Cottier, professore di diritto della comunicazione all’Università della Svizzera italiana, all’incontro – organizzato nei giorni scorsi dalla fondazione Möbius e Coscienza svizzera alla Biblioteca cantonale di Bellinzona – per fare il punto sul diritto nella rete, per capire come la legge può gestire i nuovi media sociali con la loro estrema facilità di comunicare, il che significa anche offendere e insultare. Ciò che è illegale su carta o a voce lo è anche su web: ciò significa che non ci sarebbe quel “vuoto normativo” che alcuni paventano. Le leggi ci sono, anche se l’applicazione è tutt’altro che semplice, vuoi perché non è sempre facile identificare l’autore o capire quali sono le responsabilità dei vari intermediari, da chi fornisce la connessione a chi gestisce il blog o il social network. Difficoltà che durante l’incontro sono state illustrate, attraverso alcuni casi interessanti (vedi articolo a lato), dall’avvocato e docente di diritto di internet alla Supsi Gianni Cattaneo.
Avvocato Cattaneo, quanto è diffuso il fenomeno della diffamazione online in Ticino?
È difficile dare numeri precisi e aggiornati ma sicuramente è un fenomeno in crescita. Il numero di casi che giungono nelle aule giudiziarie è ancora relativamente limitato, ma quello dei “casi nascosti”, che non vengono denunciati, è maggiore: diffamazioni e calunnie, oggi, si commettono e si subiscono tutti i giorni, con una facilità estrema.
A proposito di questa ‘facilità a insultare’: come mai? Il web apre la strada a comportamenti che, in altre situazioni, non adotteremmo?
Penso che ognuno abbia il suo “modo” di vivere la rete. Alcuni avvertono una sorta di garanzia di impunità, pensano di potersi nascondere grazie all’anonimato e quindi attaccare. Altri mostrano poca sensibilità perché manca il confronto diretto e personale con l’altra parte: con lo schermo di mezzo, l’attaccante non vede la vittima e questa distanza fa sì che manchi quel ri- spetto o sentimento di empatia che solitamente porta a rinunciare a tenere comportamenti aggressivi. In un certo senso, la rete disumanizza l’utente.
Visto questo nuovo contesto, servono norme specifiche? Alcuni Paesi hanno ad esempio introdotto un nuovo reato, l’umiliazione sulla rete.
In Svizzera abbiamo un ordinamento giuridico civile e penale ben impostato e che funziona. Si può discutere sui termini di prescrizione dei reati contro l’onore, che sono molto brevi. E sul fatto che la commissione del reato online non costituisca un’aggravante: la diffamazione online viene in effetti trattata al pari di una diffamazione “cartacea”. Questo secondo me è un errore perché la carta, così come i ricordi delle persone, dopo un po’, svaniscono, finiscono nel dimenticatoio, mentre le informazioni online persistono nel tempo e, soprattutto, possono essere sempre ricondotte alla persona interessata grazie ai motori di ricerca. Questi sono aspetti su cui si può migliorare, senza introdurre nuovi reati.
Le incertezze che ci sono adesso sono temporanee, dovute alla novità del fenomeno, oppure si presenteranno anche in futuro con l’avanzamento della tecnologia?
L’ordinamento giuridico svizzero è un ordinamento flessibile, può adattarsi anche alle nuove tecnologie. Evidentemente si può migliorare, introducendo norme specifiche per certe situazioni particolari caratterizzate da radicali cambi di paradigma. Un difetto del sistema svizzero è forse di non essere in grado di intervenire rapidamente a livello legislativo, ma d’altra parte questo tempo di riflessione evita di trovarsi con delle norme che finiscono per avere un impatto negativo sul “mondo” digitale privato e familiare ma anche economico.
Più che le leggi, però, sembrano essere importanti, ed efficaci, le condizioni d’uso di Facebook, Twitter e degli altri social network…
Le regole delle comunità offrono di fatto una tutela molto efficace: è facile far rimuovere un post che non rispetta queste regole. Ma i regolamenti dei social media sono in genere piuttosto “generosi” verso la libertà di espressione; le fattispecie che portano alla cancellazione di un post sono alquanto limitate: pornografia, cruda violenza, istigazione all’odio, minacce credibili o attacchi diretti a un individuo o a un gruppo, violazione del diritto d’autore eccetera. Inoltre si tratta di soggetti privati, per di più (spesso) stranieri: sulla base di quale potere, anche dal profilo democratico, può il social media credibilmente ergersi a censore o a giudice di controversie private che dovrebbero essere risolte da un’autorità indipendente e statale?