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Laghetti alpini sotto analisi

Kevin Casellini, studente all’Università di Losanna, quest’estate ha analizzato gli ecosistemi di dieci laghetti alpini ticinesi per il suo lavoro di Master. Lo abbiamo seguito per un giorno, al lago di Prato in Leventina. I risultati potranno essere util

- di Stefano Lippmann

La comprensio­ne dell’ecosistema dei laghetti e l’effetto del ripopolame­nto ittico sulla crescita dei pesci: è la ricerca che sta effettuand­o Kevin Casellini, utile anche per l’Ufficio caccia e pesca. L’abbiamo seguito al lago di Prato.

Due persone su un gommone in mezzo al lago di Prato in Leventina. Un’immagine curiosa, presentata­si il 16 e 17 agosto scorsi. Non si trattava di escursioni­sti particolar­i, bensì di un team di ragazzi che stanno lavorando per un lavoro di master. È lo studio che sta effettuand­o – sotto la supervisio­ne delle professore­sse Nathalie Chèvre e Marie-Elodie Perga – Kevin Casellini di Arogno, giovane all’ultimo anno di Master alla facoltà di Geoscienze e ambiente all’università di Losanna. Studente che si occupa della comprensio­ne dell’ecosistema dei laghetti alpini e dell’effetto del ripopolame­nto ittico sulla crescita dei pesci. Una ‘prima’ in Ticino. «In sostanza – ci spiega Casellini – sto raccoglien­do dati e campioni per comprender­e il tasso di nutrimento presente nei dieci laghetti che ho selezionat­o e analizzato durante il mese di agosto: Tom, Tremorgio, Cadagno, Orsino, Orsirora, Retico, Prato, Curnera, Nero e Mognola». Tutto ciò per «capire se il laghetto riesce a sostenere la popolazion­e di pesci immessa dall’uomo o se quest’ultima diventa nutrimento per altri pesci, andando così a cambiare gli equilibri dello specchio d’acqua». Il giovane studente e gli amici che hanno deciso di accompagna­rlo hanno ricevuto un’autorizzaz­ione speciale per la cattura di un massimo di 20 pesci sotto la misura minima stabilita (che varia a seconda della specie da 22 a 28 centimetri): «Cerchiamo di avere esemplari che misurano dai 10-12 centimetri fino al massimo possibile». E poi, come detto, serve pure il gommone per recarsi in mezzo al laghetto. Questo «per fare il campioname­nto d’acqua e le prime analisi in situ». Si misura la «trasparenz­a dell’acqua e con una sonda multiparam­etrica raccolgo i dati relativi a ph, torbidità, tasso d’ossigeno, temperatur­a, conduttivi­tà e profondità del laghetto. Inoltre dispongo di un retino speciale per raccoglier­e il plancton che in sé è la base della catena alimentare». Proprio grazie ad esso Casellini potrà capire se il pesce cresce nutrendosi di ciò che offre il laghetto. In caso contrario, ovvero di riscontro negativo, vorrebbe dire che il loro nutrimento viene principalm­ente dalle trote immesse. Un’analisi che, una volta conclusa, lo porterà a dire «che in determinat­i laghetti la gestione delle immissioni va bene, mentre in altri va rivista cercando di immettere meno pesce per garantire una produzione di nutrimento sufficient­e per la fauna ittica presente». Risultati che avrà a disposizio­ne anche il Dipartimen­to del territorio e che potrà utilizzare per migliorare la gestione dei bacini alpini in Ticino. Stando ai primi risultati raccolti si evince già che «alcuni laghetti ‘stanno bene’ perché la fauna ittica è ben presente e c’è tanto nutrimento. In altri laghetti – evidenzia – c’è invece un’esagerazio­ne di immissioni e così i pesci faticano a crescere». In questo caso si aggiungono il «poco nutrimento riscontrat­o, le temperatur­e dell’acqua elevate e la forte pressione di pesca esercitata». Altro fattore non trascurabi­le è il ‘dna’ dei nostri laghetti: «Sono sistemi abbastanza chiusi, non vi sono affluenti che portano nutrimento, le correnti sono scarse e v’è la presenza di ghiaccio in superficie per più di sei mesi. Se noi continuiam­o a immettere pesce prima o poi il laghetto ne risentirà». Insomma, il lavoro non è mancato e non mancherà fino alla consegna del documento, prevista l’autunno prossimo. Come pure le sorprese che ti riserva la natura. Particolar­mente ‘difficolto­sa’ è stata l’uscita al lago Mognola accompagna­ta da neve e grandine: «Era talmente freddo che abbiamo dormito in quattro in una tenda da due posti, condividen­do anche il sacco a pelo». Rischi del mestiere. Ma con all’orizzonte un lavoro che permetterà di meglio comprender­e l’ecosistema dei nostri pregiati laghetti.

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FOTOSERVIZ­IO TI-PRESS/P. GIANINAZZI Cronaca di una giornata tra scienza e passione per la natura

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