Cassis e le illusioni ticinesi
L’elezione di Ignazio Cassis in Consiglio federale costituisce un ottimo esempio del funzionamento del sistema politico svizzero. Da un lato per il tacito compromesso che il seggio lasciato vacante dal dimissionario Burkhalter spetti al Plr, dall’altro perché il Plr stesso ha presentato all’Assemblea federale un ventaglio di 3 candidati, ognuno dei quali con caratteristiche diverse. Due elementi che storicamente influenzano l’elezione di un consigliere federale sono l’appartenenza ad una specifica regione linguistica e il sesso del candidato. Tralasciando la figura di Maudet, anche l’elezione del 20 settembre scorso si è giocata su questi due fattori, con Cassis ad impersonificare la minoranza italofona e Isabelle Moret quale rappresentante femminile. A seguito dell’elezione di Cassis si è iniziato a parlare della svolta a destra del Consiglio federale, soprattutto in ambito economico. Una svolta prevista quanto inevitabile: sui temi economici votati quest’anno in Consiglio nazionale non si possono infatti riscontare differenze significative tra lo “stile di voto” di Cassis e quello della Moret. Voti inoltre uguali in circa tre quarti dei casi a quelli della maggioranza Udc, partito che negli anni è diventato portavoce di politiche economiche sempre più liberiste. La sinistra si è quindi trovata tra l’incudine e il martello, senza la reale possibilità di sostenere un candidato che si distanziasse da queste politiche. Non a caso nella maggior parte delle votazioni in Consiglio nazionale il Ps si scontra con la coalizione borghese Plr, Ppd e Udc. L’elezione in Consiglio federale di Cassis è quindi un trionfo della destra economica, la quale avrebbe in ogni caso vinto. E non si può dire lo stesso del Ticino, emblema dei disastri sociali causati da questo tipo di politica.
Raphaël Scacchi, Bellinzona