La memoria delle città
Che cosa è la città? Una domanda che ha fatto da fil rouge al dibattito con cui si è aperta, ieri pomeriggio al Lac, la 21esima edizione Premio Möbius di Lugano che oggi proseguirà con premiazione e convegno. Dibattito che vedeva da una parte l’architetto Mario Botta e dall’altra lo psicotecnologo Derrick de Kerckhove. Tema, appunto, la città, questa straordinaria forma di aggregazione umana, almeno nella sua incarnazione europea, ha subito precisato Botta. Il fatto è che la città non è solo un insieme di edifici e di servizi, ma è innanzitutto memoria e identità. «Vado in giro per il mondo e chiedo sempre “da dove vieni?”: tutti mi rispondono con una città, mai con uno Stato o una regione…». A questa visione della città come luogo innanzitutto sociale, De Kerckhove ha inizialmente contrapposto uno schema più rigido: c’è sì lo spazio fisico, ma a questo dobbiamo aggiungere lo spazio mentale e, soprattutto, quello virtuale composto di connessioni e relazioni che non stanno né nel mondo esterno né nella nostra testa. Quando usiamo uno smartphone per comunicare o per immagazzinare foto, abitiamo appunto questo “terzo mondo” virtuale. Una definizione di città lontana da quella di Botta, ma solo in apparenza perché se De Kerckhove insiste su questo spazio virtuale è per ancorarlo allo spazio fisico, ad esempio – riprendendo un progetto da lui curato per Torre Annunziata – con narrazioni digitali realizzate dalla popolazione e inscritte nel territorio. Arrivando, per un’altra via, all’idea di città come costruzione simbolica e quasi metaforica di Botta. Perché, ha concluso “l’uomo dei muri” – come si è definito Botta contrapponendosi a “l’uomo dell’elettronica” De Kerckhove – «le città sono lo specchio impietoso della società: se la “città sociale” è violenta, ghettizzante, speculativa, non possiamo aspettarci che la città fisica sia un luogo idilliaco». IAS