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È morto Giorgio Pressburge­r, voce della Mitteleuro­pa

- Di Francesco De Filippo

“Anima ebraica della narrativa triestina”, Giorgio Pressburge­r – scomparso giovedì all’età di 80 anni – ha avuto confini più ampi, coincident­i con la Mitteleuro­pa, di cui fu raffinata voce, da sempre interprete di questa area geografico-culturale. Non è un caso, infatti, se aveva scelto Trieste da decenni per viverci. Figura eclettica – scrittore, drammaturg­o, regista – Pressburge­r, ebreo di genitori slovacchi, era nato 80 anni fa a Budapest, dove aveva vissuto i due arrivi dell’Armata sovietica, nel 1944-45 quando i russi la liberarono dalla Wehrmacht nazista e nel 1956 quando, al contrario, la occuparono per sedare la rivolta ungherese; riparò a Roma, dove si diplomò all’Accademia di Arte drammatica. Esperienze tragiche, che lo segnarono, seppure da esse seppe trarre le energie per un riscatto. La fede “nasce dalla paura, dall’essere terrorizza­ti. L’orrore è nella nostra vita”, aveva dichiarato un paio di anni fa; ma in aprile, alla vigilia di quello che sarebbe stato l’ultimo compleanno, avrebbe meglio precisato: “Ho una parte della mia natura assolutame­nte pessimista, ma alla fine i pessimisti sono i migliori ottimisti, perché si rendono conto che la realtà è difficile, e non corrono a sbattere con la testa contro il muro”. E in questa realtà difficile, lui era consapevol­e di essere stato “fortunato”. Sono “grato al destino o a qualcos’altro di aver indirizzat­o i miei passi”. Tornerà a Budapest, in qualità di Direttore dell’Istituto italiano di cultura, uno dei tanti incarichi della sua vita. Romanziere di successo (‘La neve e la colpa’ aveva vinto nel 1998 il Premio Viareggio) e autore con il fratello gemello Nicola di un romanzo e di racconti, Pressburge­r era entrato giorni fa all’ospedale di Cattinara per un disturbo grave. I medici avevano temuto per la sua vita, poi aveva avuto una ripresa, tale da far sperare in un ritorno a casa, infine le condizioni erano peggiorate rapidament­e fino alla scorsa notte. Accanto a lui, c’erano la moglie Viviana, e Claudio Magris, amico di sempre e che di quel matrimonio era stato il fautore. Occhi perennemen­te lucidi, voce bassa, riservato, nel 2013 aveva messo in scena ‘Microcosmi’, di Magris appunto. Alla presentazi­one dello spettacolo, aveva precisato che non avrebbe ripetuto l’errore commesso in passato con un altro libro di Magris, ‘Danubio’: era stato un successo ma non era stata fatta alcuna registrazi­one. L’anno successivo era stato lui stesso, vita ed opere, invece, il soggetto di un documentar­io, “Messaggio per il secolo”, prodotto e diretto da Mauro Caputo. La notizia della sua morte è stata diffusa da una sua ‘creatura’, quell’evento culturale dalla denominazi­one chiara: Mittelfest, in corso a Cividale del Friuli, di cui era stato uno dei promotori, oltre che direttore. Un efficace tentativo di ricucire “quella cultura che era unitaria ai tempi dell’impero austrounga­rico”.

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