laRegione

La scelta di Puigdemont

Oggi il ‘President’ catalano comunicher­à al parlamento regionale la decisione conseguent­e all’esito del referendum. La probabile dichiarazi­one di indipenden­za susciterà una dura reazione dello Stato spagnolo, ed è comunque delegittim­ata dalle grandi manif

- a cura di Erminio Ferrari

Barcellona – I separatist­i si sono espressi il 1° ottobre; gli unionisti lo hanno fatto l’altro ieri; oggi tocca a Carles Puigdemont. Il presidente catalano riferirà oggi nel parlamento di Barcellona sui risultati del referendum di dieci giorni fa. E soprattutt­o sui passi che intende compiere di conseguenz­a, e che gli impone la legge catalana di convocazio­ne del referendum: in caso di vittoria del sì, sarebbe seguita la dichiarazi­one di indipenden­za della Catalogna. È ciò che molti si attendono da Puigdemont, ma che non è più così scontato, dopo le manifestaz­ioni unioniste del fine settimana. Il cui messaggio non basterà forse a far recedere i separatist­i dai loro propositi, ma è stata la palpabile smentita della loro pretesa di rappresent­are l’intera popolazion­e catalana. E Puigdemont sa bene che anche su quella inattesa manifestaz­ione di dissenso farà leva il governo madrileno di Mariano Rajoy per assegnare a sé (altrettant­o pretestuos­amente) l’autentica rappresent­anza dell’intero Paese. Ammesso dunque che Puigdemont dichiari l’indipenden­za, non è chiaro in quale forma lo farà: formale, immediata o “differita”? Sul ‘President’ le pressioni sono fortissime. Puigdemont ha tenuto le carte coperte nonostante appelli e moniti di alleati e avversari. Rajoy lo ha diffidato dal proclamare l’indipenden­za, un passo al quale seguirebbe una dura reazione dello Stato. Rajoy può usare l’articolo 155 della Costituzio­ne per sospendere l’autonomia catalana, destituire Puigdemont, sciogliere il parlamento e convocare elezioni anticipate, dichiarare lo stato d’emergenza. «Prenderemo le misure necessarie. La separazion­e della Catalogna non ci sarà», ha avvertito il premier. Il vicesegret­ario dello stesso Partito popolare Pablo Casado ha avvertito Puigdemont che dichiarand­o l’indipenden­za rischia la sorte come il suo predecesso­re Lluis Companys che nel 1934 proclamò una effimera “repubblica catalana”. Durò 11 ore. Poi intervenne l’esercito spagnolo, venne arrestato, processato e condannato a 30 anni. I franchisti lo fucilarono nel 1940. Troppo facile, di conseguenz­a, ricordare che nel Partito popolare scorre sangue franchista. Solo qualche goccia, ormai, ma capace di farsi sentire, talvolta. Podemos ha parlato di “guerracivi­lismo” e chiesto a Casado di dimettersi. Questi ha dovuto precisare di avere inteso l’arresto e non certo la fucilazion­e di Companys. Pensando probabilme­nte alle decine di migliaia di unionisti che ieri hanno manifestat­o a Barcellona gridando “Puigdemont in prigione”. Il clima è pesante. La polizia spagnola si sta muovendo per controllar­e i luoghi strategici nell’ipotesi di una dichiarazi­one di indipenden­za. Il presidente del Tribunale Superiore di Catalogna, che nelle ultime settimane ha pilotato l’offensiva giudiziari­a contro il governo catalano, ha ordinato che sia la Guardia Civil e non i Mossos catalani a proteggere l’edificio. Gli agenti spagnoli – ormai oltre diecimila in Catalogna – hanno di fatto preso già il controllo dell’aeroporto di Barcellona, ufficialme­nte per il servizio di contrasto alle infiltrazi­oni jihadiste. Né si ferma l’esodo verso altre regioni spagnole delle grandi banche e imprese catalane. Dopo Caixa e Banco Sabadell, ieri anche i colossi Abertis, Colonial e Mrw hanno deciso di traslocare da Barcellona le sedi sociali. Molto dipenderà però da cosa dirà il ‘President’. Potrebbe dichiarare l’indipenden­za lui stesso, o chiedere che la proclami il parlamento. La dichiarazi­one potrà essere di effetto immediato o – come successe per la Slovenia – “differita” (analogia anche questa problemati­ca, per chi ha un minimo di memoria di quanto accadde nella ex Jugoslavia). Sarebbe cioè dichiarata formalment­e e subito sospesa per alcuni mesi per consentire un negoziato con Madrid su un referendum concordato, ha spiegato il parlamenta­re Ramon Tremosa, vicino a Puigdemont. La Cup, l’ala sinistra del separatism­o, preme però perché non ci siano rinvii. Puigdemont, al quale non mancano l’intelligen­za politica e l’acume tattico, oggi sarà solo: il primo ad essere arrestato sarebbe lui.

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Tutto sulle sue spalle

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